Prologo
«Donna bianca, sulla ventina, avvelenamento da psico-farmaci, battiti cardiaci rallentati. I familiari riferiscono che soffre di depressione dopo aver avuto un aborto causato da stress post-traumatico.»
Le voci tutt’intorno sono sempre più labili, come un fastidioso ronzio che si allontana.
«Se questa dissennata di tua figlia se la caverà, la farò chiudere in un manicomio e butterò via io stesso la chiave della stanza!»
«Signor Bennet, per favore, si sposti.»
«Capisci che, se la notizia arriva ai giornali, la mia immagine sarà distrutta per sempre? Lo comprendete anche voi, spero?»
«La prego, non intralci i soccorsi e ci faccia fare il nostro lavoro.»
Il cigolio delle ruote della barella, i lampi dei neon sul soffitto, il rumore delle sirene dell’autombulanza si affievoliscono, e finalmente non sento più neppure l’astioso gracidare di mio padre, ma solo un silenzio così grande da assorbirmi completamente.
L’Adagio di Albinoni, in sol minore, si fa spazio nell’assenza di suono. Le luci si smorzano e sono inghiottita da un buco nero senza fine, che percorro inerme in caduta libera.
Non so più distinguere cosa sia reale da cosa invece non lo è.
«Mi senti, Linda? Linda!»
La familiarità del mio nome si fa spazio nel buio dove ho deciso di affogare. Ma non voglio farmi incantare, non più. Così continuo a scivolare giù, senza più avere una meta, senza responso, sempre più in fondo.
Quando finalmente credo di essermi fusa al nulla, di aver smesso di esistere, due braccia energiche arrestano la mia caduta.
È un uomo senza volto a trattenermi dall’abisso. Indossa un completo elegante, uno smoking come quelli che si usano all’Opera. I lineamenti, così come i suoi colori, sono sfumati dalla luce che gli esplode da dietro. Quando mi appoggia davanti a sé, riesco a malapena a distinguerne l’abito e le scarpe di vernice lucida che porta ai piedi.
«Non voglio salvarmi» tento di gridare con tutte le forze, ma non è che un sussurro; nella realtà non un solo fiato mi esce dalla bocca.
«Voglio raggiungerti e stare in eterno con te… e con il nostro bambino» lo imploro, con la convinzione che sia il mio Ethan che vuole fermarmi dal compiere questa follia.
Non l’ho mai visto vestito così elegantemente, ma tante volte ho fantasticato con lui di esibirci insieme a teatro.
Mentre cerco di scorgere il suo volto, la luce dietro di lui mi abbaglia. I suoi occhi assumono una sfumatura celeste che non riconosco.
Devono essere i farmaci… forse sono arrivata in paradiso, o in un qualunque altro universo diverso dalla realtà, una realtà che ormai, per me, non ha più senso.
«Linda, Linda…»
«Se tu non avessi insistito per farle prendere lezioni di violino, se si fosse concentrata nello studio e basta, se non mi avessi nascosto che si vedeva con quel poveraccio…»
«Signor Bennet, esca immediatamente! »
«Lei non sa con chi sta parlando! »
«Linda, Linda…»