Abbiamo spesso sentito parlare di relativismo culturale, là dove con questo termine si intende l’insieme di differenze che intercorrono tra culture e continenti: moralità, tradizioni, usi e costumi…
Tuttavia, esiste un altro tipo di relativismo, quello storico, che coinvolge il mutamento di costumi, credenze e comportamenti che ogni società ha subìto nel corso del tempo.
A questo proposito, vogliamo parlare di quanto nei secoli sia cambiato il modo di interpretare l’idea stessa del matrimonio: se al giorno d’oggi avere un amante è considerato da tutta la società civile qualcosa di moralmente riprovevole, secoli fa, fino al 1.800 inoltrato, l’idea non scandalizzava quasi nessuno. Era normale, soprattutto se si apparteneva alle classi più nobili, cercare l’amore e il piacere al di fuori del matrimonio, tanto che le amanti potevano essere tranquillamente esibite da mariti fedifraghi, i quali non si facevano nessuno scrupolo a condurre due vite sentimentali separate: l’una con la moglie e con i figli legittimi, e l’altra con l’amante e la prole nata al di fuori del matrimonio.
Un privilegio tutto maschile
Naturalmente, erano quasi esclusivamente gli uomini a poter esibire le proprie amanti a spettacoli e concerti, corse di cavalli e altri eventi mondani. Anche le donne avevano amanti, ma per loro permaneva l’obbligo di un’assoluta segretezza, in quanto la moglie devota e fedele è un cliché che nei secoli non è mai cambiato.
Il punto di rottura
Quando è avvenuto il cambiamento che ha portato il mondo occidentale a considerare la fedeltà come l’unico valore importante in un matrimonio?
L’idea più accreditata è che tra fine ‘700 e inizio ‘800, con il progressivo indebolimento del potere della classe nobile in favore dell’avvento della borghesia cittadina, anche i valori della società abbiano pian piano cominciato a mutare, influenzati dallo stile di vita della piccola e media borghesia, più attenta ad apparire in veste di classe virtuosa e operosa.
Il nuovo uomo borghese
Soprattutto in Inghilterra, i borghesi di fede protestante avevano come capisaldi due principi irrinunciabili: il duro lavoro e un certo conservatorismo dei costumi, derivato da un’educazione puritana e fortemente religiosa. I borghesi credevano infatti che la prosperità economica e la felicità familiare derivassero dalla grazia divina, la quale veniva accordata a pochi eletti e solo se dimostravano di possedere un’incrollabile fede in Dio.
Ecco che pian piano il tradimento, così come altri vizi tipici della classe nobiliare (l’ozio, il troppo bere, l’indolenza) passarono dall’essere considerati atteggiamenti tutto sommato normali a qualcosa di moralmente abietto, causa del declino inevitabile di una classe, la nobiltà, che pur di indulgere nei propri vizi aveva rinunciato a guidare la società e l’economia europea.
L’amore diventa parte del matrimonio
Il nuovo modello di uomo borghese faceva del lavoro il centro della propria vita, ma non solo: si sposava per amore e non più per interesse. Con una mano pregava molto, con l’altra guadagnava denaro. Se fino alla fine del ‘700 i matrimoni senza amore erano la normalità, dopo l’avvento della borghesia si diffuse l’idea che il matrimonio per amore fosse necessario alla felicità dell’uomo moderno. Era fondamentale sposare qualcuno che condividesse gli stessi valori religiosi e morali, qualcuno da amare e a cui restare fedeli.
In conclusione, l’idea del tradimento come fatto moralmente inaccettabile permane ancora adesso in quasi tutta la società occidentale, ma si tratta esclusivamente di un costrutto sociale, e in quanto tale potrà cambiare nel tempo, anche se non possiamo prevedere come o quando.
Ovviamente nei nostri romance il tradimento viene inteso più alla maniera novecentesca che a quella dei secoli passati: ogni tanto, infatti, sacrificare la verità storica per rendere un romanzo più romantico è qualcosa che, per parafrasare un grande scrittore,
S’ha da fare!

