La vita degli schiavi nell’America del 1800

Lungi dall’essere solo un romance storico, La piantagione Walker, il nuovo romanzo della scrittrice italo-francese Claudia Brandi, è anche un’attenta disamina, supportata da documentazione storica accurata e ben descritta, della vita di coloni e schiavi nell’America della prima metà dell’Ottocento. A corollario della storia d’amore, infatti, sono molte le descrizioni che riportano il lettore in un paese ricco di contraddizioni e di crudeltà.

Ma parliamone direttamente con l’autrice.

Grazie per essere qui, Claudia. Il tuo romanzo ci riporta nell’America della schiavitù e delle navi negriere. Com’era la vita di uno schiavo nella Louisiana del 1830?

La vita degli schiavi in Louisiana era regolata dal Code Noir, un insieme di leggi promulgato nel 1724 che stabiliva i diritti (ben pochi) e soprattutto i doveri degli schiavi in ogni aspetto della loro vita quotidiana, imponendo anche alcuni doveri ai loro padroni, come quello di nutrirli e fornire loro dei vestiti ogni anno.

Nonostante gli schiavi in Louisiana godessero di qualche diritto in più rispetto a coloro che lavoravano nel Mississippi o in Alabama, dove le loro condizioni erano anche peggiori, la loro esistenza era estremamente precaria, perché i padroni avevano il potere assoluto su ogni aspetto della loro vita privata. Come ci racconta Frederick Douglass nella sua autobiografia “Memorie di uno schiavo”, molto dipendeva anche dal carattere del padrone: alcuni piantatori erano infatti più “umani” se così si può dire, e trattavano un po’ meglio i loro schiavi, ricompensandoli quando svolgevano un lavoro adeguato; altri invece erano estremamente bellicosi e violenti, e amavano torturarli in maniera totalmente gratuita.

Al di là del sud degli Stati Uniti, c’era New York. Cosa aspettava in quella città agli schiavi fuggitivi?

New York faceva parte degli stati che avevano abolito in modo ufficiale la schiavitù, i così detti stati liberi. Tuttavia, il processo di emancipazione dei neri era ancora estremamente lento. Un esempio? Fino agli anni 40 -60 dell’Ottocento, cioè poco prima della guerra di Secessione, a New York e nel New Jersey furono fatti dei censimenti nei quali alcuni uomini neri vennero registrati come “apprendisti perpetui” : il che, di fatto, faceva di loro degli schiavi.

Poi venne lo Slavery Abolition Act.

Nel 1833, il parlamento britannico proclamò con una legge la fine della schiavitù nelle colonie dell’impero, ad eccezione di alcuni territori specifici. L’abolizione però fu graduale; gli schiavi in principio ottennero solo una libertà di tipo giuridico, ma furono ancora obbligati per un lungo periodo a restare a servizio presso i loro padroni senza remunerazione. Negli anni successivi a questa promulgazione, il governo britannico fu costretto a indennizzare i proprietari di schiavi per una cifra totale pari a circa 20 milioni di sterline, che all’epoca era davvero colossale.

Gli inglesi in America, in tutto questo, dove si collocavano?

Ne La Piantagione Walker viene appunto descritta la vita di Celia, una giovane ragazza inglese costretta, dopo la morte del padre, a emigrare con la madre in Louisiana, dove sua zia Elizabeth vive da più di quarant’anni. Madre e figlia sono accompagnate da Thomas, l’amico d’infanzia di Celia, il quale desidera diventare un ricco banchiere per poi rientrare nel suo paese natale. I tre protagonisti affrontano, ciascuno a modo suo, lo choc culturale derivato dalla grande differenza di usi e costumi della Louisiana rispetto all’Inghilterra, prima fra tutti la realtà schiavista che né Thomas né Celia, data la loro giovane età, hanno mai conosciuto. Per un inglese del 1830 emigrare in America significava di fatto essere alla ricerca di opportunità che la loro madre patria non avrebbe mai potuto dare.

E l’amore?

L’amore è sicuramente al centro del romanzo, ma si mescola a temi come le differenze culturali – quelle tra uno schiavista e una puritana, appunto – e al dilemma morale sulla schiavitù: è possibile amare un uomo che letteralmente possiede vite umane? Celia farà fatica a darsi una risposta.

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