maternità tossica

Il ladro di libri inediti Filippo Bernardini arrestato a New York

Lei, mia madre Rischia vent’anni di carcere il trentenne Filippo Bernardini, un italiano arrestato ieri a New York per il furto telematico di centinaia di manoscritti inediti appartenenti alle più famose case editrici del mondo.  Bernardini lavora – o sarebbe meglio dire lavorava – per una famosa casa editrice estera e proprio grazie alla sua esperienza aveva ideato un ingegnoso trucchetto per farsi dare in anteprima  tantissimi romanzi  scritti da alcuni  tra i più celebri scrittori del mondo, tra i quali troviamo Margaret Atwood e Stieg Larsson .  Il metodo di Bernardini era davvero banale, ma proprio per questo efficace.  Lavorando nel mondo dell’editoria conosceva i contatti di molti editori blasonati e, creando degli indirizzi mail fittizi – pare più di mille- che divergevano da quelli originali per una sola lettera o segno, riusciva a farsi inviare in anteprima i romanzi. L’obiettivo di Bernardini?  Apparentemente nulla di criminoso.  A quanto pare, il trentenne  non ha  diffuso alcun manoscritto inedito su Internet, non ha tentato di rivenderli né ha provato ad attribuirsene la paternità… pare proprio che il suo intento fosse semplicemente leggere le opere prima di chiunque altro. Dimostrazione che a volte le passioni possono condurre davvero le persone sulla strada del… crimine! QUIZ 05.01.23 Quiz: Quanto ne sai sul medioevo? Read More News Nasce Land University Press: uno sguardo al futuro, insieme 12.04.21 News Che ne direste di… un viaggetto in Scozia? Presentazione di Cristina Ferri 27.07.22 recensioni Depressione: perché il dolore non può essere considerato un’unità di misura 04.10.22 storia Le donne nel medioevo 25.08.22

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Madre buona, madre cattiva: la figura della madre in letteratura

Lei, mia madre   La madre perfetta non esiste. Alle soglie del XXI secolo, questa consapevolezza dovrebbe sembrarci scontata, un’affermazione a tratti banale, eppure non è insolito trovare all’interno dell’immaginario collettivo esempi sempreverdi di madri esemplari e impeccabili, che riescono ad assolvere al duplice compito di educatrici e badanti con un’efficienza quasi robotica. Di contro, la letteratura è piena di esempi di pessime madri, ideate da autori illustri, che hanno permeato l’immaginario culturale occidentale. Madre buona, madre cattiva La letteratura e l’arte sembrano impegnati in una costante lotta che pone queste due figure in una situazione di scontro perpetuo; da un lato la cattiva madre, che antepone i suoi bisogni e le sue aspirazioni a quelle di chiunque altro, figli in primis. Un esempio estremo che riconduce i lettori a questa figura matrigna, maligna e maledetta (le tre M, una triade tossica e pregna di moralismo) è ovviamente Medea, figura pre-mitologica ormai passata agli annali, alla quale milioni di scrittori si sono rifatti nelle loro opere. Strega e assassina, Medea compie l’Atto più grave che un essere umano possa commettere: la barbara uccisione della propria progenie. Per quanto la critica letteraria moderna si stia sforzando di riempire Medea di complessità e sfaccettature sempre nuove, in un maldestro tentativo di riabilitare le sue azioni, questo personaggio continua a rappresentare tutto ciò che non deve essere una madre, e le maledizioni che cadranno sul suo capo ne sono la prova lampante. All’estremo opposto c’è il modello al quale la letteratura sette-ottocentesca ci ha abituati ad aspirare, quello della madre esemplare, che arriva a sacrificare la sua vita per il benessere e la salvezza dei figli. Un modello altrettanto moralistico, se non di più, che vede nella madre il triplice ruolo di santa, martire e angelo del focolare, e il suo esempio forse più significativo è la Fantine del romanzo I miserabili (Victor Hugo, 1862).  La storia di Fantine si inserisce in quella tendenza tutta ottocentesca che vede autori uomini intellettualmente impegnati ad auto-compiacersi, per non dire masturbarsi, sull’immagine di donne completamente vittime del destino, degli uomini e della sfortuna. Ma soprattutto degli uomini. Uno sguardo morboso sulle sfortune di personaggi femminili e sulle loro sofferenze, che avevano il duplice scopo di educare le donne a immolarsi alle avversità ma anche a portarle alla catarsi dei sentimenti, attraverso il dolore vissuto da loro simili per interposta persona. Fantine è giovanissima quando viene sedotta e messa incinta da un suo (si presume) coetaneo, che non si farà scrupoli ad abbandonarla al suo triste destino. Nell’800, una ragazza madre aveva sostanzialmente due alternative: la prostituzione o il suicidio. Nessuno avrebbe offerto un lavoro onesto a una donna perduta; per questo motivo Fantine affida la piccola Cosette, frutto del suo amore al di fuori del matrimonio, a dei locandieri e va in città per lavorare, stando bene attenta a non rivelare a nessuno la sua figlia segreta. Segreto che viene ben presto scoperto, portando Fantine al licenziamento in tronco da parte di Jean Valjean. Disoccupata e sola al mondo, Fantine deve comunque trovare il modo per mandare i soldi a sua figlia, soldi senza i quali la piccola sarebbe abbandonata a un destino peggiore dell’essere lasciata insieme ai disonesti gestori di una locanda di dubbia reputazione. L’unica scelta di Fantine è diventare una prostituta, fatto che la condurrà velocemente alla morte. Questo modello di madre, che si sacrifica in tutto e per tutto per i figli, rappresenta il polo opposto a quello in cui viene posizionata Medea, ed ecco allora che dal male supremo rappresentato dalla madre assassina si passa all’idea di madre-angelo, disposta a tutto pur di garantire alla progenie un futuro, anche alla morte e all’annullamento di sé. E nel mezzo cosa c’è? Sono pochi gli esempi di madri con personalità sfaccettate, almeno in letteratura, soprattutto nella narrativa del passato. Questo perché, come sempre, la donna è la destinataria di due grandi ingiustizie: la prima risiede nel fatto che per millenni è stata partorita dalla fantasia e dall’immaginazione morbosa e moralista degli uomini, la seconda è che la società ha sempre sentito il bisogno di incasellare la figura femminile in uno stereotipo, non importa se negativo o positivo. Solo nell’800 le prime scrittrici hanno timidamente cominciato a esprimere se stesse attraverso la narrativa, creando figure di madri sfaccettate e ambivalenti, né buone né cattive, semplicemente umane. Basti pensare a Jane Austen e al suo Pride and Prejudice, dove la figura di Mrs. Bennett appare sì sciocca e vanesia, ma anche sinceramente preoccupata per le proprie figlie e di certo più partecipe alla vita familiare del suo schivo consorte, così impegnato a schernire il resto del mondo (famiglia compresa) da curarsi poco o nulla del destino precario delle sue cinque figlie. Tra tutti questi personaggi e scrittori, una cosa è certa: dipingere l’universo femminile in maniera autentica è sempre risultato più ostico rispetto al creare personaggi maschili efficaci e ben costruiti, e lo è sia nel mondo del romance contemporaneo che della narrativa generale. Verrà mai il giorno in cui le madri saranno finalmente tratteggiate in maniera verosimile?  

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