Rubrica ApertaMente. Chiedi alla Psicologa.
Mi presento, sono Isabella Vinci e sono una psicologa perinatale e del neurosviluppo, oltre a essere una TNPEE (sigla per indicare un lavoro dal nome impronunciabile, ossia Terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva). Mi occupo di bambini da più di vent’anni e di genitori da oltre un decennio, perché il mondo dell’infanzia è un universo in espansione, in cui è davvero molto facile perdersi.
Motivo per il quale nasce questa rubrica interattiva, in cui ho raccolto alcune domande proposte dai genitori.
Per genitorialità consapevole si intende spesso un modo di educare i propri figli basato sugli ultimi studi di pedagogia e psicologia.
Sorge spontaneo chiedersi quando i genitori dovrebbero ricavare il tempo anche per informarsi e formarsi su questi argomenti. Vi sono molti corsi online tenuti dagli esperti del settore, così come delle interessanti conferenze e riunioni in presenza promosse dai servizi del consultorio, ma spesso sono gli stessi genitori a non conoscere tali opportunità e soprattutto a non avere il tempo di parteciparvi.
Perché? Sono tante le motivazioni, che sia per una scarsa promozione dei suddetti servizi, che sia per mancanza di tempo in una quotidianità caotica, talvolta proprio per disinteresse.
Ma cosa è allora questa consapevolezza della genitorialità? E non sarebbe più semplice se fosse solo una cosa da mangiare, mandare giù in boccone ed essere così pieni in modo quasi istantaneo di saggezza antica e nuova su come si crescono i figli?
Perché la consapevolezza dell’essere genitori è importante? Fornire gli strumenti giusti e le informazioni utili permetterebbe di non impazzire, tra scatti di crescita, tappe di sviluppo, carenza di sonno e altre incredibili vicissitudini della prima (e seconda e terza, quarta eccetera) infanzia.
L’ideale, secondo gli addetti ai lavori, sarebbe addirittura di saperle prima della nascita di una nuova vita.
Tra mondo ideale e mondo reale c’è un abisso, fatto di doppi turni a lavoro per mantenere la famiglia, di disinformazione su ciò che sia davvero il post parto, di congedi di pochi giorni e pochi mesi e rientri in servizio quando ancora non si è realizzato di avere tra le mani una nuova vita che pretende ascolto a suon di pianti e urli, o magari con uno sguardo che incatena a terra una madre e un padre, che non vorrebbero altro che passare tempo a nutrire il nuovo equilibrio familiare.
Sempre più genitori sentono l’esigenza di cambiare approccio alla vita: dove prima il lavoro era la priorità e il benessere familiare veniva al secondo posto, adesso è diverso.
Si sceglie di allargare la famiglia, di espandere il tempo al di fuori del lavoro, per crescere i figli in modo presente. C’è un approccio diverso rispetto alla precedente generazione, per cui i figli potevano anche crescere in autonomia. Ora invece bisogna integrare quell’autonomia nei progetti didattici, ricordando che un bambino di due anni è in grado di apparecchiare la tavola con stoviglie di vetro e ceramica, se lo aiuteremo ad imparare e ci fideremo delle sue capacità, senza temere troppo cocci e pulizia qualora ci fosse un intoppo.
Attenzione tuttavia a non confondere l’autonomia con la solitudine. Si pretende da un esserino appena nato sia in grado di autoregolarsi nel sonno, nella fame, nella veglia, quando invece ogni studio degli ultimi decenni sottolinea quanto il contatto ravvicinato con la madre e il padre sia fondamentale nell’apprendere davvero questa autoregolazione.
La famosa frase “Lascialo piangere” è assurda, infondata e dannosa per diversi motivi: il pianto dei bambini attiva nel cervello materno (ma anche paterno) una risposta attacco/fuga, la stessa alla base di ogni forma di sopravvivenza. Ovvero, il pianto dei neonati è un sistema perfetto che garantisce al bambino di comunicare un bisogno impellente e necessario alla sua vita. E sì, tra questi bisogni quello del contatto fisico è considerato primario, al pari del mangiare e del dormire. Fornisce quell’autoregolazione di cui parlavamo, tramite i segnali biochimici e fisiologici che vengono percepiti dal contatto pelle a pelle.
Lasciar piangere un bambino per imporre una volontà da adulti, neanche del tutto propria ma di una società giudicante, ha l’unico effetto di accumulare l’ormone dello stress (il cortisolo) nelle sinapsi dei genitori, rendendo quindi il cervello meno capace di apprendere dall’ambiente e abituandolo a reagire come se fosse perennemente terrorizzato. Non è davvero una situazione auspicabile, perché come il riposo è fondamentale per diminuire queste quantità di cortisolo, lo è anche per ridurre l’ansia che diventa forma di anticipazione costante per ogni esigenza del bambino. In questo circolo vizioso, nemmeno si è più capaci di riposare, dunque il rischio diventa una risposta diretta, non voluta né pensata, che potrebbe portare a un’escalation qualora ci sia una fragilità di base.
Per fragilità di base possiamo intendere diverse cose: se l’educazione ricevuta da bambini è stata rigidissima, si adatterà un modello rigido verso i propri figli. O anche, una madre o un padre che soffrono di ansia generalizzata e avranno pertanto un sistema di iperallerta già attivo e pronto a scattare al minimo sentore di disagio. La carenza di sonno, per esempio, è un altro meccanismo che tende ad abbassare le difese, che siano queste quelle immunitarie, che quelle cognitive.
Lo stesso urlare o scuotere il bambino molto piccolo sono conseguenze di questo circolo negativo. Non che urlare per scaricare la frustrazione e la rabbia nel sentirsi impotenti e incapaci sia qualcosa da demonizzare. Capita a tutti di perdere la pazienza, ciò che conta è che non sia una risposta costante e che sia modulabile, ed ecco che entra in gioco la consapevolezza in primis di se stessi come esseri umani adulti, poi come genitori.
La genitorialità consapevole non è dunque solo conoscere e applicare il metodo Montessori, perché non è detto che tutte le case possano essere adattate a quelle linee guida, bensì conoscere i propri limiti, o meglio confini.
Bisogna capire quale sono le battaglie giuste da combattere, perché non si hanno le energie per vincerle tutte. Metà dell’opera è comprendere come adattare se stessi e i proprio figli alle esigenze di tutta la famiglia, non solo quelle dei piccolini.
Per capire quali sono i propri confini ci vuole tempo e diversi tentativi ad errori. Ma se c’è una cosa che tutti i genitori imparano in automatico, quasi di default, è l’arte della pazienza. Ed è quella il vero ingrediente segreto della consapevolezza.