Di Francesca Redolfi

Cronache dal Punto Nemo
Storie di vita da genitori, riflessioni e tentativi di approdo
Il Punto Nemo si trova nell’oceano Pacifico ed è considerato il luogo più remoto della terra. È quello che siamo noi, quando come genitori a volte ci sentiamo un po’ persi. Ma è anche il tentativo costante di chi cerca sempre di ritrovare la rotta.
Gli album delle parole
Ci sono cose che fatichiamo a mettere in ordine. Libri, stanze, vecchi disegni, bollette, calzini. A volte la vita.
A me succede anche con le fotografie.
Le scatto in maniera non razionale, non precisa, quasi illogica. Immortalo momenti inutili, talvolta dimentico quelli importanti, così se c’è da portare in classe un ricordo del compleanno per il compito sulle fonti storiche bisogna scartabellare ovunque e magari la foto non si trova lo stesso.
Ogni tanto realizzo che la tecnologia non è una faccenda affidabile, allora presa da un istante di panico raccolgo scatti a caso sul telefono in cui il soggetto – bambina, adulto, cane che sia – sia uscito decente e le invio in fretta a stampare, con addosso il pensiero frenetico che se non lo farò svaniranno subito nell’etere e perderò per sempre tutte le immagini, la testimonianza di loro come erano, di quando sono cresciute.
Perché poi è così che accade. I bambini crescono come le foreste, sembra non succeda mai, invece un giorno guardi dove prima c’era un piccolo germoglio e trovi una quercia. Quando è cresciuto?, ti domandi. Quando è successo? Ero distratta quando è accaduto. Ero girata di là, ma davvero, solo per un minuto, poi mi sono voltata e il bambino era sparito, e al suo posto è arrivato questo piccolo gigante. Piccolo perché lo è ancora, gigante perché lo vedi, è anche quello.
Perseverando nell’incapacità a gestire le foto, non le inserisco in album divisi per età, ma le lascio nelle buste della stampa, infilate nel vano contenitore sotto il divano.
Le mie figlie sanno che le foto sono lì, che quando vogliono trovare immagini di loro appena nate o dell’asilo o delle vacanze possono provare a frugare nello Zibaldone senza alcun ordine e senso logico, in cui si mischiano volti, momenti, attimi che non c’entrano l’uno con l’altro.
Metafora della vita, perché poi le cose vissute non sono certo ben ordinate negli album. I ricordi non ti arrivano in un ordine preciso, loro nella tua testa sono come le foto nel vano contenitore, si pesca a caso, a volte basta un profumo, una sensazione, e d’un tratto ti ricordi di quella gita in campagna che credevi di aver scordato, e di quando all’asilo hanno festeggiato Carnevale con i vestiti tutti spaiati, o di quella cena con gli zii venuti da lontano.
La memoria ha lo stesso mio modo scollegato di catalogare le foto, senza motivo né causalità, mescolando eventi, volti, anni, cose senza logica alcuna. Prende sentimenti contrastanti, li mischia come fossero colori, crea nuance improbabili.
Insieme alle foto in disordine, ho anche altro.
Ho dei fogli, un po’ sparsi anche quelli, chiusi in un cassetto. Loro contengono un altro tipo di ricordo.
Lì, i ricordi non sono immagini, sono parole.
Potrei definirli “album delle parole”.
Contengono frasi che le bambine hanno detto nel corso degli anni, espressioni buffe, altre più commoventi, altre ancora con termini inventati di sana pianta. Alcune sono le primissime parole pronunciate, i tentativi mal riusciti, quelli andati a buon fine. Le espressioni che pur sapendo sbagliate non abbiamo mai corretto per anni, perché ci piacevano così.
Una sorta di diario molto grezzo che testimonia la loro crescita non solo nei capelli e le gambe più lunghe e le estati con il cambio armadio tutto da rifare, ma anche con le frasi.
A dirci che si cresce anche con il linguaggio.
Così ogni tanto, come quando vanno a rintracciare le fotografie, loro vanno a cercare le parole. Rileggono le frasi dette quando erano piccole. Ci ridono sopra, perché si ride sempre della propria ingenuità, e accade anche da grandi.
«Ti ricordi quella volta che ho detto…».
Oppure arrivano di corsa quando una delle due ha detto qualcosa di divertente: «Mamma, questa te la devi segnare».
Me le devo segnare. C’è un album così grande nel cuore di una madre, che contiene ogni singola parola, espressione buffa, ogni dimostrazione d’affetto, ogni cosa che è stata.
Ma le segniamo, perché sappiamo che un giorno non ce ne ricorderemo. Non di tutto. Che la forma del viso, quei capelli fini, la vocina sottile, sarà sostituita da un volto diverso, un’altra voce. Loro com’erano da bambine saranno solo un ricordo. Capiterà poi che quando vedremo dei video di qualche anno prima diremo: ma davvero? Davvero sono stati così piccoli?
Ma più di tutto saranno loro a dimenticare.
Tempo fa guardando la TV ci è comparsa a caso una puntata di Peppa Pig, una di quelle che a forza di vederle, anni prima, sapevo ormai a memoria.
«Vi ricordate, bimbe, del castello ventoso?». Non ricordavano. Parole e immagini viste e riviste in mille pomeriggi – sdraiate sul tappeto, mangiando biscotti, a casa con la febbre, sul divano, giocando – semplicemente erano state cancellate dalla loro memoria. Mentre io mi ricordavo ancora tutto, per loro quel pezzo, come tanti altri, era stato perso nell’oblio dell’infanzia.
«Tu quanti ricordi hai dell’asilo?», mi ha chiesto un’amica qualche tempo fa. «Io solo uno o due».
E così, come noi abbiamo dimenticato i nostri primi anni di vita, lo faranno anche loro. Lo stanno già facendo. Ogni giorno dimenticano, e sono sempre più lontani da ciò che erano.
Sta a noi tenerne traccia.
Per quel che possiamo, raccogliamo foto, videoriprese. E collezioniamo parole. Teniamo sempre con noi quel bambino, quella bambina che sono stati. Facciamo che una parte di loro resti lì, che quel pezzo magico, incredibile di vita che chiamiamo infanzia, quel momento che dura una manciata d’anni per poi piano affievolirsi e andarsene per sempre, ecco, noi facciamo di non dimenticarlo. Lo faranno loro, perché crescere vuol dire anche quello: lasciarsi alle spalle. Noi faremo in modo di tenerlo. Perché essere genitori vuol dire anche quello. Tenere traccia di ciò che loro avranno scordato. Tenere il bambino che sono stati, e ogni tanto ricordarglielo. Con foto disordinate e sparse qua e là, o con un vecchio, prezioso album pieno di parole.
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