Intervista a Ylenia, libraia di Libreria Difficile

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Ho conosciuto Ylenia sui social, all’interno di un gruppo facebook per la precisione. Mi ha consigliato molti libri, azzeccandoci sempre. Allora l’ho voluta intervistare, per capire da dove nasce questo superpotere.

Da dove nasce il nome della tua Libreria, DIFFICILE? E dove ti trova chi ti vuole cercare?

Il nome non è casuale. Quando 15 e più anni fa provavo a tirar fuori questo desiderio, la risposta era “si ma è difficile”. E questo vale per tutto quello che voglio fare, c’è sempre un grado di difficoltà intenso. Che poi difficile non significa impossibile…

Ylenia ha da poco traslocato e per un periodo ha fatto consulenze, libroterapie e pacchetti da casa – la trovate comunque sui social con il nome di Difficile Libreria.

Cosa fai in libreria? In cosa consiste la Libroterapia?

Cosa NON faccio (ndr. è un vulcano questa ragazza)! Si fa un po’ di tutto, nel senso che la Difficile è un po’ come lo studio di un sarto, con fettucce, scampoli, aghi e fili vari, quindi tutte le attività sono svolte per andare incontro alle esigenze dei lettori e non solo. 

Perciò c’è il gruppo di lettura Parole di Lana, dove i lettori propongono il tema, io propongo dei testi e quello più votato diventa il libro del mese, che poi diventa un mese e mezzo, anche due mesi. Non diamo un tempo perchè la Difficile è qui per ri-educare alla lettura e mi rifiuto di dare scadenze come a scuola. Soprattutto la Difficile non è una libreria per soli lettori, perchè ogni storia viene proposta anche e soprattutto in chiave emotiva; parliamo dei temi che escono fuori dalla lettura e quindi se non si ha letto il libro, si può partecipare comunque. 

Poi ci sono gli incontri – e non le presentazioni -, perchè a me di dare spazio solo a chi scrive non va. E allora affrontiamo i temi attraverso le storie scritte da altri, con chi le scrive ma anche con chi le legge e soprattutto con un terapeuta presente, perchè la figura di un professionista è doverosa.

E poi ci sono i laboratori nelle scuole, poi c’è la libroterapia con gli albi illustrati per adulti e ora anche i percorsi di libroterapia.

La libroterapia è uno strumento che prevede l’utilizzo di storie scritte da altri e che può aiutarti a trovare “le parole per dirlo”. A volte potremmo sentirci in un certo modo e non riuscire a dare una forma alla cosa; potremmo aver bisogno di “brindare” alla felicità provata in un periodo; potremmo semplicemente aver bisogno di una “spinta”. E allora le parole, le illustrazioni, il momento di raccoglimento creano un ponte. La libroterapia di cui mi occupo è quella umanistica, dove non mi è assolutamente concesso vedere la persona come paziente. Chi entra in libreria e chiede della libroterapia si siede, mi racconta perché é lì e non altrove. Suggerisco letture, capitoli – faccio letture pensate solo ed esclusivamente per quella persona.

Con il gruppo, invece, affrontiamo i temi attraverso la lettura dell’albo illustrato, diamo spazio alle parole e ai gesti dei partecipanti, lavoriamo insieme per costruire nuove domande. Perchè la libroterapia fa esattamente questo, ti offre nuove finestre e se vuoi anche nuove domande, mai solo risposte.

E’ un lavoro DIFFICILE, davvero, le dico, perché prevede che chi ti sta davanti e si racconta si affidi completamente a te, non per essere “guarito”, per essere ascoltato e capito. E’ una missione difficilissima quella che ti sei scelta !

Esattamente. Infatti questo è anche il motivo per cui la libreria non prevede che tu debba venire per forza a comprare libri. Sarebbe sicuramente cosa buona e giusta, quando mi tieni inchiodata magari per due ore e mezza. Ma c’è un’altra storia qui. Una persona che ha cominciato a frequentare la libreria e ogni volta che viene mi dice che legge tanto, ha tanti libri in casa, e io tutte le volte dico “magari devi fare pulizia”. Non compra mai libri, se non di un autore francese perchè gli avevo detto che lo avevo salvato come “aggiusta orologi” e gli avevo raccontato la storia che mi aveva fatto venire in mente e lui si era letto quel libro. Da lì in poi lui continua a venire, ora non viene più così spesso, ma veniva una volta a settimana e si piazzava lì un paio di ore e mi raccontava tante cose e a volte era anche faticoso, però un giorno mi confida “io non so perchè sono in vita, non so perchè non mi sono ammazzato” e io penso che può venire quando vuole, non ho più pensato alle ore. E’ questo il posto, c’è gente che mi chiama e mi dice ho bisogno di parlare, posso venire? E io dico vieni e ci prendiamo un tè o un caffè e parliamo. In libreria sono nati un sacco di progetti , compresa la libroterapia con i ragazzi delle elementari. Le persone non vivono la libreria come il supermarket dei libri. E’ un lavoro difficile e che non tutti sono in grado di fare. Non lo dico perchè sono io superfiga ma ti faccio un esempio. Tempo fa io ero incinta, era proprio evidente che io fossi gravida, vado in una libreria di catena (non lo dico perchè la libreria di catena non sia buona, ma perchè è l’alternativa, per esempio, alla Difficile) e  chiedo una storia, per sapere la gente che sta lì dentro cosa legge. Quello che mi avevano suggerito non lo avevano disponibile – e li capisco, te lo posso assicurare – e così mi viene proposta una storia che si chiama “La cronologia dell’acqua” dicendomi che è una storia bellissima di una ex nuotatrice. Lo prendo, era nella mia wishlist da lettrice e anche da libraia (perchè io prima di mettere i libri sugli scaffali li leggo tutti, perchè se l’idea è quella di rieducare alla lettura non ti posso proporre una schifezza). Sto all’ospedale, prendo il libro e questa storia si apre con “il giorno in cui mia figlia nacque morta”. Ora, io dico, se davanti, invece che una libroterapeuta umanistico,  avessero trovato una persona che aveva subito una perdita, una persona che non poteva avere figli, una persona che aveva subito violenza e si era ritrovata anche con la perdita di un figlio… tu te le devi fare queste domande! Il libro è una medicina per l’anima, lo devi ragionare, devi sapere cosa c’è dentro. Se tu mi dici che non vuoi affrontare la violenza sugli animali, ad esempio, e io ti do un libro dove c’è e non te lo dico, sto facendo un pessimo lavoro e la libreria Difficile per questo non è e non deve essere vista come un supermarket.

Che aiuto può dare la libroterapia? A che serve, insomma? Mi racconti qualche episodio? C’è qualche argomento che hai affrontato con un singolo, una classe o un gruppo e ha scatenato qualcosa?

Mi chiedi una cosa bellissima! Ad esempio abbiamo affrontato il tema della famiglia, la famiglia che divora e quella dalla quale impari a prendere ciò che ti serve. 

Durante un gruppo una persona racconta di come nella sua vita sia stato sempre un “devo” e la psicoterapeuta, sempre presente che guida con me i gruppi, le fa una domanda: è un devo o un voglio? E fioccano lacrime liberatorie.

A distanza di mesi questa domanda è rimasta, è germogliata e ho visto la persona portarsela nel cuore. Anche quando si avvia nella famiglia d’origine, torna serena perchè si ricorda che non deve per forza, ma può scegliere di volere.

Nelle scuole invece, che dirti! Parlando di moto ondoso emotivo, un ragazzo stava infastidendo un compagno. Gli ho chiesto se si stesse annoiato e che nel caso non c’è nulla di male, la noia fa bene ma soprattutto non deve essere PER FORZA interessato. Gli ho chiesto di sedersi vicino a me e farmi da assistente, perchè così magari cambiava prospettiva e forse la cosa poteva aiutarlo. A fine incontro mi dice che ha capito perchè dava fastidio al compagno: i libri letti gli hanno ricordato come si sente lui e che gli da fastidio, perchè è triste e non sa come gestire la cosa.

Le chiedo quanti anni aveva questo ragazzino, mi dice otto. Conveniamo che è una bella capacità introspettiva per un bambino di quella età. 

Eh sì, tra l’altro erano due albi ( ne porto sempre due, per lavorare su più punti di vista). Uno si chiama “Il mondo è rosso” ed è completamente rosso, legato alla rabbia, in cui la bambina ribolle, immaginati una pentola che bolle con il coperchio sopra e poi l’acqua esce, ma tu tutto quel bobobobo del ribollire lo senti per un quarto d’ora, venti minuti, poi l’acqua esce e spegne il gas e spegne tutto. Questo albo è fatto così ed il rosso è proprio il colore predominante.

L’altro invece è blu, ha il colore dell’acqua, si chiama “Io parlo come un fiume” tra l’altro che mi ha fatto scoprire una lettrice, in cui il bambino in questione soffre di balbuzie. Quale miglior esempio di parlare del bobobobobo di cui dicevamo prima. Ma lui non parla di questo, parla di come si sente, di come si incastrano le parole nella bocca, di come la T metta radici, della difficoltà di tirar fuori le parole. Tu immagina quando ti senti triste, ti senti arrabbiato e non riesci a trovare il modo di tirarla fuori. Ed è stato con queste due letture che questo bambino mi ha detto “ho capito forse perchè do fastidio, ma te lo devo dire in privato”. Abbiamo aspettato che tutti andassero via e poi mi ha detto “credo di dare fastidio perchè sono triste”; gli ho chiesto il perchè e mi ha raccontato una serie di cose. “Io mi sento solo” mi ha detto e allora gli ho suggerito di raccontare, di parlare, con gli amici, con le maestre.

Che tipo di studi hai fatto per proporre questo servizio?

Qui se famo grandi risate mi risponde. Più di 10 anni fa entro in un gruppo di lettura dove incontro la terapeuta con cui faccio libroterapia, ovvero la mia affiancatrice. Nel tempo lei diventa libroterapeuta con master, studi, corsi. E un giorno mi dice che la mia attenzione, le domande che mi pongo, i modi che uso per sviscerare una storia sono quelli che si insegnano. Motivo per cui abbiamo provato a lavorare insieme. Se ho un dubbio chiedo il suo parere e per mia scelta etica non accolgo richieste per cose che riguardano i disturbi alimentari. E poi studio sui manuali che mi consiglia lei, ne cerco altri, partecipo a gruppi di libroterapia condotti da altri professionisti. Perchè “fortunella come sono” (l’espressione è più colorita, ma avete capito lo stesso), faccio una cosa che non è riconosciuta come preparazione universitaria. E se volessi frequentare master accademici per formarmi, non potrei. Con tutto che ho le capacità per gestire un gruppo, non me la sento di farlo da sola. In giro è pieno di gente che te vende la roba tipo “200 euro e ti lascio i titoli dei libri per salvare te stesso” … e poi sono molto sensibile all’altro, quindi se non sento muri mi arrivano TUTTE le emozioni degli altri. Immaginati a gestire 20 persone così, mi ucciderebbe.

La tua sensibilità arriva anche senza averti davanti di persona, solo attraverso le tue parole scritte o i vocali, le dico. Pensa ad averti davanti! Eh sì, l’empatia verso la gente si sente… ed è una vera missione ciò che fate.

Ogni volta che facciamo un gruppo di libroterapia – a parte che è la mia affiancatrice che propone l’abo, perchè io mi metto sempre nella condizione di dire “scelgo questo libro perchè serve a me o può servire a tutti?” – mi affido e lascio che sia lei a fare il primo passo. Ci ritroviamo e io inizio la lettura, di cui non ho video, non so come leggo. Ma evidentemente entro in una sorta di stato di tranche perchè mentre io leggo la gente comincia a piangere; non per forza un pianto di dolore, un pianto liberatorio. Immagina qualcosa che arriva lì dove tu non pensavi che qualcosa potesse arrivare, perchè non avevi trovato fino a quel momento le parole per dirlo. Finalmente hai una spiegazione, un nome a quello che senti. Ed è una cosa bellissima che succede. E succede sempre anche che ognuno di noi lascia qualcosa nel gruppo; tutto ciò che viene messo nel gruppo ognuno lo fa proprio perciò ci portiamo a casa un pezzetto delle storie degli altri, come quello della signora che dicevo che ha sempre detto “devo”. Se lei non fosse venuta questa cosa non l’avrebbe ricevuta e magari ci avrebbe messo un altro po’ per arrivarci, magari lo avrebbe scoperto da sola, magari si sarebbe risvegliata da questa sorta di stato catatonico.

Vado nello specifico: com’è essere libraia e libroterapeuta ed essere diventata mamma? La narrazione che hai trovato e trovi nei libri, magari anche in quelli che hai letto per prepararti alla maternità, corrisponde al vero? 

Al vero? Seee ciao. Non c’è una cosa reale di tutte le … che dicono. 

Riguardo la maternità, io sono tipo l’antimadre. O meglio, l’anticristo della figura della madre che va avanti da secoli. Quando sono rimasta incinta, mi sono data la possibilità di partecipare a un gruppo di libroterapia proprio sul tema. Un dolore guarda!

Mi sono trovata con illustrazioni e parole che andavano dritte al mio vissuto, ma con calma, immaginati un sadico con una vittima da far soffrire. E mi stava bene, perchè era quella la chiave per rimettere insieme alcuni miei pezzetti. La gravidanza ha distrutto tutto, intendo che mi ha tolto il mio corpo, il mio tempo, la mia noia quotidiana ricercata. 

Quando ti dicono che DEVI parlare con tuo figlio perchè è bello e fa bene, non ti dicono però che può anche succedere che tu non RIESCA a farlo e che è comunque giusto così.

Te fanno sentì un po’ menomata, ma te non la vedi questa mancanza perchè tu sei così, sei giusta per te e quindi ti senti in difetto a non riuscire a fare, capitolo dopo capitolo, come ti dicono i libri. Libri che mi hanno prestato, perchè io sono contro i libri per futuri genitori e pure contro i corsi preparto per come vengono concepiti, figurati se spendevo 150 euro di manuali inutili.

Se questo genere di libri raccontasse quello che è davvero, nessuno figlierebbe più. Perchè l’intoppo grosso sta nel fatto che le cose negative le dicono pure, ma poi “eeee ma quando ti sorride dimentichi tutto”. No zì, non dimentichi perchè ti ha sorriso, dimentichi perchè il cucciolo umano, come tutti i cuccioli, punta su quello per poter sopravvivere, come i cuccioli di cane carini e coccoloni che tutti vogliono, quelli del “guarda che occhioniiii”. Ecco, so tecniche di sopravvivenza, come l’odore del neonato. E anche qui, se non conosci l’aspetto scientifico, ti senti in difetto magari.

Che libro consiglieresti? A me è piaciuto molto “La sostituta”, di cui mi hai parlato tu.

Una lettura, oltre “La sostituta”, è sicuramente “Genitori felici”. Ma anche “Contro i figli”, un saggio non contro il bambino ma contro il dover fare figli. Racconta di come si è madri e donne a metà in una società fatta di persone che proiettano sull’altro le loro verità assolute. E invece ne esistono tante, infinite, come sono le storie personali.

C’è un argomento che ti ha appassionato di più, tra quelli che hai trattato anche con le scuole, con i bambini? Un argomento che senti necessario trattare? E magari qualche consiglio di lettura per casi specifici?

Io non me la sento mai di fare quelle cose tipo manuale, alla “se sei solo, ti senti solo, leggi questo libro” perchè in realtà possiamo condividere la sensazione, l’emozione ma poi ognuno di noi ha il proprio vissuto.

Ti faccio un esempio: a dicembre è venuta una persona in libreria, che conosco e frequenta e conosce il mio lavoro e si è rivolta in passato a me sempre per cose molto pesanti (non perchè pesino ma perchè il vissuto di questa persona che ha portato qui in libreria era considerevole, almeno per me) e mi raccontava di un ennesimo lutto, un’ennesima perdita, con la preoccupazione grande nei confronti dei figli, di come l’adulto può aiutare il bambino ad affrontare questa cosa. Al che, dopo tutta una serie di cose che mi ha raccontato, apro l’armadietto e prendo un libro e le dico “guarda questo dallo al bambino, può essere letto in autonomia perchè è un libro che racconta di animali estinti, può essere in realtà anche usato per parlare di qualcosa che non c’è più, di una presenza che non dovrebbe restare mentre noi continuiamo a vivere – perchè noi potremmo vivere di ricordi o comunque di quello che può essere definito polline, e c’è un altro albo a tal proposito (“Polline”) – e lì per lì lei non lo ha compreso benissimo. Effettivamente è stato un po’ criptico. Di fatto avrei potuto lasciarle tra le mani una serie di libri in cui si parlava di come affrontare il lutto, come spiegare la morte ai bambini, dove è finito l’uccellino – roba che io non ho, questa – e io sono andata su una cosa completamente diversa perchè se il bambino è pronto a lasciar andare allora “lo legge” in quella storia, se non è pronto non bisogna forzarlo. E questo vale anche con l’adulto. In questo caso i genitori potrebbero venire da come con la richiesta perchè “io voglio risolverlo, io sono pronto” e poi magari in realtà si rendono conto che non hanno le forze. Allora io devo lavorare su qualcosa che tu puoi prendere non per forza in maniera diretta, perchè non ti torna utile, perchè se tu non lo leggi oggi ma magari fra sei mesi non ti è più di aiuto. Uno dei temi sì è il lutto, ma lutto come perdita, perdita di tutto.

E c’è una differenza enorme tra il perdere e lo smarrire, ad esempio, ed è uno degli ultimi incontri di libroterapia che abbiamo fatto. Ci sono tante sfaccettature della perdita, ad esempio l’aborto. C’è un romanzo che si chiama “Lei”, in cui lei viene lasciata dal fidanzato, perde poi anche il lavoro e anche la casa! Perde cose che non hanno a che fare con il lutto di un parente, di una persona amata, di un amico ma caspita è tutto un perdere. Quindi un libro così può essere suggerito anche quando ti senti perso e non per forza legato al lutto, ma il lutto in terapia è una perdita. Tu potresti dover risolvere un lutto anche riguardo a una borsa persa sul treno, per questo non è possibile fare un elenco riguardo ad uno specifico tema.

Ma un tema che spesso tratto, molto sentito – soprattutto da me – è quello della famiglia che ingloba. Riguardo a questo inglobare, a questo sentirsi tirati dentro, ci sono diversi romanzi e albi illustrati dove non per forza c’è la famiglia come oggetto della storia ma può esserci la sensazione, una delle emozioni che potresti provare nel contesto in cui c’è una famiglia disfunzionale. Ad esempio, quando non è ben chiaro il ruolo, chi fa parte di questa famiglia, anche in un contesto di amicizia o di gruppo. Un esempio “Il tarlo”, libro splendido, in cui hai tre generazioni a confronto, tutte donne che entrano d escono dalla casa e due punti di vista completamente diversi sulla stessa cosa, quello della donna e quello della nipote. Lì puoi renderti conto di tante cose, come ad esempio che bisognerebbe affacciarsi un po’ alla stanza dell’altro per riuscire a guardare dalla sua finestra, per capire che cosa vede.

Oppure, riguardo alla famiglia, abbiamo affrontato un albo che si chiama “L’ascensore”, oppure “Chissa dove”, due poli completamente opposti. Anche una graphic novel “Figlia di luna”, dove troviamo una figlia rifiutata e anche aggredita dalla madre, che sta male ma non si capisce cos’ha e la figlia vive questo enorme tormento di sapere che la madre starebbe meglio in realtà senza di lei – ma non è così, non è quello il problema, solo che nessuno è in grado di spiegarglielo, non riescono a spiegare ad una ragazzina per quale motivo la madre tenta di ucciderla. Anche in “La notte delle farfalle”, una madre disturbata psicopatica cerca di uccidere la figlia ma allo stesso tempo anche di salvarla, contattando i parenti. Tutte queste storie ti danno delle domande in più, delle cose su cui riflettere che in effetti un libro che magari si chiama “La famiglia, come sopravvivere” non ti da.

Nelle scuole, nei laboratori, cerchiamo di trattare sempre temi diversi. Quello che cerco è di far sì che i ragazzi poi riportino a casa dei racconti ai genitori, perchè fare educazione al solo bambino non ha senso. Sta di fatto che tempo fa mi scrive una mamma, professionista psicoterapeuta, ringraziandomi per l’incontro fatto con il figlio a scuola, perchè il figlio ha poi raccontato a casa. In quella occasione avevo parlato di confini e avevo fatto l’esempio pratico del parente che non vedi mai, solo a Natale e che vieni obbligato a baciare ad esempio. Parlando di confine abbiamo parlato di consenso, fatto un accenno di educazione sessuale, il rispetto del mio no e del mio sì. Se tu non rispetti il mio no e il mio sì io penso di non meritarmelo il rispetto e il confine no, poi magari cresci con questa idea…  e questa mamma è rimasta contenta del fatto che sia uscito fuori, di come è stato affrontato l’argomento e che sia rimasto nel bambino.

Con i bambini, che io chiamo ragazzi, è più facile parlare di confini o di perdite, come con l’albo che si chiama “L’albero dei ricordi”; in una quarta elementare ci siamo fatti enormi pianti. Una delle maestre mi riferisce che in quella classe c’è una bambina che ha perso un genitore all’improvviso e mi dice che sanno che non piange da quando è successo, non ha mai tirato fuori. Beh con quell’albo illustrato, io che piagnevo, tutti che piagnevano, ci siamo fatti un bel pianto di gruppo. Non è passata ovviamente, ma un po’ ti senti anche compreso no, perchè la gente ti dice “ te capisco” ma non è vero, perchè anche passando la stessa situazione le storie di vita sono diverse e quindi non possiamo mai davvero capire l’altro, ma possiamo avvicinarci, possiamo provare ad immaginarlo.

Un altro dei temi affrontati con i bambini ad esempio è stata l’arte. Abbiamo fatto dei laboratori su richiesta, quando ero ancora incinta, e abbiamo fatto arte a merenda – facevano merenda nel vecchio locale. Poi abbiamo preso la canzone “l’urlo di Munch”, quattro strofe, quattro incontri, ogni incontro leggevamo e parlavamo – pure con bambini si può parlare di coscienza, in chiavi di lettura diverse. Un sacco di domande, a cui non dai risposta.

Se siete curiosi, potete trovare Ylenia e la sua Libreria Difficile online o fisicamente a Palestrina, in via Barberini 24 presso Al Portico di Fortuna, il bistrot adiacente il Museo.

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