Se oggi l’indignazione corre su Twitter, nel 1800 viaggiava su carta stampata. E il suo influencer numero uno era Émile Zola, nato il 2 aprile 1840 – giusto in tempo per fare arrabbiare mezzo impero francese con il suo leggendario “J’Accuse…!” (spoiler: non era una poesia d’amore).
Zola non era solo uno scrittore, saggista e fotografo (sì, multitasking già prima che fosse cool), ma un paladino della giustizia con la penna affilata come una katana. Il suo colpo di genio? Difendere Alfred Dreyfus, ufficiale ebreo ingiustamente condannato per spionaggio, con un articolo pubblicato sulla prima pagina del quotidiano L’Aurore. Titolo? Semplice: “J’Accuse”, ovvero “Mo’ ve dico tutto, e ve dico pure i nomi.”
Una mossa che gli procurò un’accusa (questa volta a lui), un processo, l’esilio e un posto assicurato nella storia. Oggi lo chiameremmo whistleblower, ma con più baffi e meno hashtag.
Ma non finisce qui. Zola fu anche il padre del naturalismo, una corrente letteraria dove i personaggi non vivono in un mulino bianco ma in mezzo a drammi, povertà e situazioni che neanche una soap turca. Una specie di reportage sociale prima dei documentari su Netflix, insomma.
Zola morì il 29 settembre 1902, ma il suo spirito vive ancora in ogni giornalista che alza la penna contro l’ingiustizia… o almeno ci prova prima che gliela rubino durante una riunione Zoom.
📢 Che cos’è davvero il “J’Accuse”?
Il “J’Accuse” non è solo una frase da usare quando perdi a Monopoli, ma un atto di accusa civile e politico potentissimo. Pubblicato il 13 gennaio 1898 era una lettera aperta indirizzata al Presidente della Repubblica francese. Nelle sue righe Zola accusava – nero su bianco e senza troppi giri di parole – i vertici militari e governativi di aver condannato Alfred Dreyfus sapendo che era innocente.
Un vero e proprio atto d’accusa contro l’antisemitismo sistemico, la corruzione delle istituzioni e la voglia dello Stato di trovare un capro espiatorio invece della verità. Un gesto coraggiosissimo, che costò a Zola l’esilio a Londra, ma che cambiò per sempre il rapporto tra intellettuali, potere e opinione pubblica. In pratica, Zola fu l’influencer del dissenso prima dell’invenzione del Wi-Fi.
L’Affare Dreyfus
L’Affare Dreyfus (spoiler: nessuno vinse un Oscar, ma tutti si beccarono una figuraccia epocale) fu uno scandalo giudiziario e politico che spaccò la Francia alla fine del XIX secolo. Nel 1894 Alfred Dreyfus, capitano dell’esercito francese e, dettaglio non casuale, ebreo, fu accusato di aver passato documenti segreti ai tedeschi. Ovviamente la giuria militare lo condannò in tutta allegria, senza prove vere, ma con un bel mix di antisemitismo, cecità istituzionale e voglia di far fuori un colpevole qualsiasi.
Dreyfus venne deportato nell’inferno dell’Isola del Diavolo (letteralmente), mentre l’esercito si stringeva attorno al proprio onore macchiato. Anni dopo saltò fuori che il vero colpevole era un altro (ops!), ma nessuno voleva ammetterlo. A quel punto Zola disse: “Sai che c’è? Mo’ scrivo.” E fu il caos. Intellettuali, politici, giornalisti e panettieri si divisero in due fazioni: i dreyfusardi e gli antidreyfusardi, in un clima da talk show h24 ante litteram.
Alla fine Dreyfus fu riabilitato, ma l’affaire lasciò un segno profondo: rivelò quanto fossero fragili le basi della Repubblica e quanto potesse fare la verità… se detta ad alta voce (e stampata a caratteri cubitali).
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