Lacrime, sangue e fango: un racconto horror di Isabella Vinci

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La sua ultima lacrima era stata la sua prima condanna.

Aveva cinque anni. Era seduto in giardino sull’altalena fatta di corda lisa e un’asse di legno marcita.

Acqua salata gli scendeva silenziosa dagli occhi, mischiandosi con la pioggia acida di fine novembre nel suburbio squallido della metropoli.

Piangeva perché la madre era scappata via. Lo aveva abbandonato. Era da solo con il Mostro. Rabbia e tristezza colavano copiosi dai suoi occhi.

Si sentì chiamare. Il respiro affannoso del Mostro lo raggiunse da sotto il portico.

– Torna dentro.

Non rispose, il respiro mozzato. Il Mostro lo raggiunse in due falcate barcollanti. Lo afferrò per una spalla esile, spintonandolo dall’altalena. Faccia nel fango, si sentì soffocare.

– T’ho detto di tornare dentro, piccolo stronzo.

Si alzò faticosamente. I suoi compagni avevano dei papà e delle mamme. Lui aveva un Mostro che lo picchiava e faceva sanguinare se lo vedeva ciondolare per casa.

– Cosa stavi facendo? Stavi piangendo per quella puttana?

– No … No.

Una manata forte lo mandò a sbattere contro l’albero.

– Cosa ti avevo detto? Non piangere! Se vedo anche solo una lacrima, ti rispedisco al Creatore. Sei inutile. Non mi servi manco per comprare le birre. Vai dentro a darti una ripulita.

– Sì, signore.

Era iniziato così. Nonostante il dolore alla testa per averla sbattuta, nonostante la sofferenza dell’abbandono, si mise ritto e ingoiò le lacrime. Le sentì scivolare lungo la gola, vischiose come il fango in cui era impantanato.

Il Mostro si divertiva a testarlo, per vedere di che tempra fosse fatto. Per vedere se riusciva a farlo crollare. A romperlo.

Lo picchiava, lo offendeva, lo umiliava.

Aveva dieci anni, quando ogni lacrima vischiosa di fango e sangue non sputati nella faccia del Mostro si fusero in un grumo lattiginoso. Lo vide la prima volta quando il Mostro lo portò a casa del Pervertito.

– È ora che contribuisci alle spese familiari. Sono dieci anni che fai il parassita. Questo mio amico è interessato a te. Chi sono io per negare agli altri i propri vizi?

Non aveva ben capito. Poi aveva visto lo scambio di soldi. Gli occhi avidi del Mostro. Rideva soddisfatto.

Non aveva capito. Poi lo aveva lasciato da solo con il Pervertito. Aveva iniziato ad ansimare sui suoi vestiti, strappandoglieli mentre lui cercava di scappare. 

Aveva urlato, ma quello aveva riso. – Non dire una parola. Adesso sei il mio schiavo. Obbedisci! 

Lo aveva afferrato, costretto a terra. La sua impotenza era diventata furia. Non piangeva, ma alimentava quella furia nel suo animo. Finché qualcosa era esploso dentro di lui.

Aveva alzato gli occhi quando il Pervertito si era fermato, guardando terrorizzato verso un angolo.

Era lì che aveva visto la Creatura per la prima volta. Sembrava fatta di una sostanza vischiosa e gelatinosa. Si muoveva ondeggiando, come l’acqua in una bacinella. Faceva un lieve borbottio con ogni passo che la portava ad avvicinarsi al Pervertito.

E quando era arrivata davanti a loro, si era mossa fulminea. Non riusciva a vederne quasi i movimenti, sconvolto dalle urla di dolore del bastardo che lo aveva aggredito. Sangue si sparse ovunque e poi più niente. La Creatura ondeggiò sulle gocce rosso cremisi che si allargavano sul pavimento lercio, assorbendone la consistenza. Ripulì ogni traccia del suo passaggio e poi sparì.

Sconvolto rimase per parecchio tempo ad osservare la stanza silenziosa, cercando di capire cosa fosse appena accaduto. Si era alzato tremando sulle gambe magre come fuscelli, che quasi non sembravano sopportare il suo esile peso. Si era trascinato fino alla porta incrostata di anni di sporcizia, che si apriva sulla tana del Mostro.

Il cigolio lo tradì immediatamente, ma era ancora troppo scosso per preoccuparsene.

– Cosa cazzo ci fai qui?

Il Mostro lo agguantò per una spalla, scuotendolo violentemente. La furia cieca che lo aveva colto poco prima si riversò di nuovo all’esterno, risvegliandolo dal torpore.

Ed ecco che di nuovo la Creatura era lì, davanti le scale che portavano al piano di sopra.

Ondeggiava lenta, con un movimento quasi ipnotico. Il Mostro lo lasciò andare di colpo e si voltò terrorizzato verso la porta. Stava per scappare. L’istante successivo la Creatura fu su di lui. Nuove urla agonizzanti gli avvolsero le orecchie, mentre guardava ad occhi spalancati la scena.

La Creatura stava inglobando dentro di sé il Mostro, centimetro dopo centimetro, finché di lui non rimase che del sangue scuro sul pavimento. La Creatura si avvicinò a lui, ma non ne aveva paura. Sembrò quasi chinarsi, ma senza sfiorarlo. E poi sparì. 

 

Aveva tredici anni quando la rivide ancora. In orfanotrofio se l’era passata discretamente bene, perché gli stavano tutti alla larga. La storia della misteriosa scomparsa del Mostro che era stato il padre era circolata in fretta. Lo guardavano come se fosse pericoloso o appestato. Non era nessuna delle due cose, anche se non aveva ancora capito cosa fosse la Creatura. Non era più comparsa.

Poi era stato trasferito in una casa-famiglia. I proprietari si erano mostrati gentili, ma lui non si fidava. Non si fidava di nessuno.

Avevano tentato di inserirlo nella routine quotidiana, ma lui non riusciva ad integrarsi. Ogni gesto gli sembrava sospetto. Gli affidatari avevano ogni giorno espressioni sempre più sconsolate. Finché non avevano chiamato gli assistenti sociali e avevano rinunciato a lui.

– Non ha spiccicato una parola.

– Non vuole essere toccato.

– Non permette neppure agli altri ragazzi di avvicinarsi.

– Non possiamo prenderci cura di lui.

– Gli altri sono a disagio.

– Dobbiamo pensare al benessere dei più piccolini.

Lo avevano rimandato in orfanotrofio. Era iniziato uno sfortunato viavai tra la struttura e altre case-famiglia. 

Poi era arrivato in quella più cupa e fatiscente tra tutte.

– Cerca di integrarti, stavolta. Se non lo fai, saremo costretti a mandarti in una clinica psichiatrica. 

L’assistente sociale non sembrava particolarmente entusiasta della cosa, ma non poteva farci nulla. La clinica psichiatrica sembrava un posto spaventoso. Quando era molto piccolo aveva sentito dire a quella traditrice della madre che sarebbe dovuta rimanere lì dentro, piuttosto che scappare con il Mostro.

Si era impegnato. Si era impegnato davvero. Aiutava a portare la spesa. Annaffiava il piccolo giardino. Poi però erano arrivati i gemelli. Lo picchiavano nel bel mezzo della notte. Gli rubavano la merenda. Lo umiliavano a scuola.

Pioveva quando aveva visto la Creatura. Era stato trascinato dai gemelli sul retro della casa. Cercavano di infilarlo dentro il secchio della spazzatura, per fargli mangiare gli scarti ammuffiti.

– Devi stare con i tuoi simili, i rifiuti schifosi!

– Mangia! Mangia tutta quella merda!

Un rumore di rami spezzati e urla soffocate. Si girò in tempo per vedere la Creatura inglobare i gemelli, ondeggiante e letale proprio come l’ultima volta. Sotto la pioggia sembrò crescere e crescere. La rabbia si era disciolta di fronte a quella scena orripilante.

Non gli importava poi molto che la Creatura avesse ucciso ancora. Lo proteggeva. Ma non voleva finire in clinica psichiatrica. Uno scintillio catturò la sua attenzione. Un vetro rotto. Era abbastanza. Lo afferrò e si tagliò in vari punti il braccio. Ad ogni gemito soffocato la Creatura tremolava. Finalmente capì. Non aveva tempo però di dirle molto.

– Ora vai.

La Creatura scomparve proprio mentre la signora della casa accorreva al trambusto e lui si fingeva svenuto.

Aveva detto che un vagabondo aveva rapito i gemelli. Lui aveva cercato di difendersi. La zona era sufficientemente desolata perché la sua storia reggesse.

Grazie alla Creatura, ancora una volta, era sopravvissuto.

 

C’erano voluti altri quindici anni perché imparasse a controllarla. Ormai aveva capito che se gestiva e manipolava i suoi sentimenti nel modo giusto, la Creatura agiva di conseguenza.

Forse la sua espressione, o forse qualcosa di minaccioso nell’atmosfera intorno a lui, spingeva le persone a stargli lontano. A lui andava benissimo così. 

Aveva capito presto che ne andava della sua vita se non si fosse dato una svegliata e avesse reagito. Studiò a lungo e con varie borse di studio riuscì ad andare persino all’università.

Ora era a capo del settore marketing di una delle più grandi aziende di trading del paese. Il più giovane capo che l’azienda avesse mai avuto.

Non era solo merito dei suoi successi scolastici, ovviamente.  La Creatura eseguiva ogni suo volere.

Aveva minacciato e irretito un’infinità di avversari, lasciandoli terrorizzati a pisciarsi nei pantaloni. Nessuno credeva alle loro storie. Nessuno. E la sua reputazione rimaneva intatta.

Rise sarcastico tra sé, percependo la Creatura muoversi nell’angolo più buio della sua mente. Era parecchio che non la faceva uscire. Ma era diventato una persona controllata fino all’eccesso. Niente sembrava rompere o interferire con il suo equilibrio interiore. Niente scalfiva la corazza di freddo acciaio che era la sua persona.

Nessuno si avvicinava a lui. Ne era compiaciuto.

Fino a quella sera.

Aveva fatto tardi per gestire l’ultima operazione. Era una somma importante di denaro. Gli avrebbe assicurato una notevole ricchezza. La soddisfazione di averla conclusa fu talmente grande che per un attimo la Creatura fece capolino davanti a lui. Con la stessa freddezza con cui scacciava moscerini inopportuni, fece un gesto noncurante per mandarla via.

Non aveva voglia di starsene a casa, quindi si era fermato in quel piccolo bar di fronte al palazzo dove viveva. Era pittoresco, sempre molto affollato e rumoroso. Ma erano già le tre di un martedì sera, la gente comune era tornata a casa per affrontare inutili problemi quotidiani.

Lui aveva fame e voleva festeggiare in solitaria quel successo. Quindi decise, una volta tanto, di concedersi un bicchiere di whisky e uno spuntino in un bar.

Entrando i colori vivaci del bancone gli diedero fastidio; si mise a un tavolo che dava le spalle a quel tripudio di idiozia.

Una calda voce suadente lo distrasse dal pensiero che forse aveva sbagliato a fermarsi lì.

– Buonasera. È la prima volta che entra qui, vero?

Ovvietà con cui introdurre un discorso che non aveva alcuna voglia di fare. Si girò per rimettere al suo posto la cameriera, ma rimase sorpreso.

Forse era la stanchezza o forse l’euforia, ma per la prima volta in anni qualcuno era riuscito a coglierlo di sorpresa. Lei era bellissima.

– Sono Mira, la proprietaria. Dato che ha l’aria stanca di chi ha appena staccato da dieci ore di straordinari al lavoro, il primo giro lo offre la casa.

Si riprese velocemente dalla sorpresa. – Spera di ottenere qualcosa?

– Ovvio. Se la conquisterò con il mio fascino e il mio alcol, magari deciderà di tornare. Anche se un bel tenebroso come lei probabilmente preferisce atmosfere più gotiche.

Lo sorprese ancora con la sua schiettezza. Qualcosa si mosse nell’angolo più buio della sua mente, ma lui la ricacciò indietro.

– Avete anche da mangiare, qui dentro?

– Normalmente un tono del genere si meriterebbe un bel calcio nelle chiappe, ma dato che non ho altri clienti da servire, solo per oggi farò un’eccezione.

Gli portò un sandwich e un bicchiere di rum. La osservava da lontano, studiandone le mosse.

Era iniziata così, la lenta discesa agli inferi.

 

Prima di Mira nessuno era entrato così a stretto contatto con lui. Prima di Mira nessuno aveva conquistato la sua fiducia.

Prima di Mira aveva avuto il controllo di ogni sua più piccola emozione.

Lei era un uragano. Lo trascinava da una parte all’altra per fare shopping. Lo costringeva a stare a casa a vedere film d’azione. Gli aveva regalato decine di libri. E si rifiutava di andare a letto con lui.

– Siamo amici. Non posso essere altro per nessuno, mi dispiace.

Aveva cercato di corromperla con delle cene romantiche e dei regali costosi. Aveva ottenuto solo la sua allegra risata in faccia. Lei era quasi diventata un’ossessione. Pensava che, se l’avesse avuta almeno una volta, quel morboso interesse per lei gli sarebbe passato. Sarebbe riuscito a tornare l’uomo di freddo acciaio che era prima.

La Creatura si agitava nervosa nella sua testa. La sentiva vibrare, fremere come un brivido lungo la pelle.

Per ogni parola e ogni sorriso che Mira gli rivolgeva, una corda invisibile che tratteneva la Creatura sembrava venire di colpo recisa.

Poi accadde l’incidente.

Una sera era seduto al tavolino più remoto del bar, osservandola muoversi agilmente tra i tavoli. Sorrideva a tutti nello stesso modo. Quando incrociò il suo sguardo sembrò illuminarsi per un attimo. Un battito dopo, nello stesso istante in cui sentiva una sensazione calda che gli scioglieva le interiora, lei si voltò e sembrò folgorata. Un omone barbuto era appena entrato nel locale. Appoggiò per terra un borsone militare e le sorrise.

Mira lasciò cadere il vassoio, per corrergli incontro e abbracciarlo. Proprio come nelle scene dei film. Sembrava addirittura andare tutto a rallentatore.

Lui fissava inebetito la coppia abbracciata, mentre ancora i bicchieri pieni cadevano e i liquori si rovesciavano ovunque.

Il rumore dei vetri che si rompevano coprì lo spezzarsi dell’ultima corda che tratteneva la Creatura.

Le lampade al neon si frantumarono fragorosamente. Qualcuno urlò. Lo sciabordio dell’acqua e la puzza di fango furono tutto ciò che riuscì a sentire. Era vicina. Più vicina a lui di quanto fosse mai stata. Si muoveva con quel suo incedere ondeggiante, quasi ipnotico, di uno stagno putrido in una bacinella.

Doveva andare via. Prima che fosse troppo tardi.

Ma non aveva più lo stesso controllo di prima. E la Creatura non usciva da troppo tempo. Era quasi alla porta quando il vocione dell’uomo barbuto, dell’amante di Mira, imprecò e bestemmiò. Poi un urlo.

Qualcuno riaccese le luci di emergenza. Lui si voltò lentamente.

Sangue ovunque. Sui tavoli. Sui frammenti di bicchieri rotti. Sangue e whisky che colavano in una pozza. E nessuna traccia dell’uomo. O della Creatura.

Mira era pallida e tremava. Guardava sconvolta le sue mani imbrattate di sangue vischioso.

Urlò e urlò. Neppure la polizia riuscì a farla smettere. Urlò e urlò fino a che le sue corde vocali non si spezzarono. Divenne muta per sempre.

Ed era stata solo colpa sua.

 

Ci vollero due anni perché riuscisse a convincerla a trasferirsi da lui.

Le era rimasto accanto, il senso di colpa e l’odio verso se stesso che crescevano a ogni sguardo spento della donna. Eppure una maligna soddisfazione si annidava insidiosa tra le sue viscere attorcigliate.

La Creatura taceva, nutrita a sazietà con l’ultimo pasto. Quello che aveva rovinato la vita di Mira.

Lei non aveva più sorriso. Non aveva più parlato. Non lo guardava quasi mai, ma si lasciava imboccare e spogliare come fosse una bambina. Ci erano voluti due anni perché infine acconsentisse con un flebile cenno del capo a vivere con lui.

C’erano voluti altri due mesi perché una notte tra i singhiozzi silenziosi si concedesse finalmente a lui. Non gli importava se era stata la solitudine o l’angoscia a spingerla tra le sue braccia.

Non gli importava. Era finalmente sua.

La felicità fu talmente forte e piena, che non si accorse di aver liberato inavvertitamente la Creatura.

Non la vide, non la percepì, troppo intento e concentrato su di lei. Lei che aveva sconvolto il suo mondo. Lei che adesso era sua.

Non vide la Creatura, mentre si alzava dal letto e andava in cucina a prenderle dell’acqua.

Non la percepì, troppo perso nella sua soddisfatta felicità. 

Un gemito soffocato fu l’unico allarme che qualcosa non andava. Corse in stanza terrorizzato. Non poteva perderla. Non poteva perdere Mira proprio ora.

La scena che gli si parò davanti lo gelò sul posto. Mira era rannicchiata a un angolo del letto, guardava annaspando la Creatura, che era piegata verso di lei. Come se volesse sfiorarla delicatamente.

– No … No… Allontanati da lei!

La Creatura si mosse di scatto, rifugiandosi in un angolo.

Mira lo guardò, la comprensione che si faceva più palese di minuto in minuto.

Ritrovò la sua voce, in un bisbiglio sottile che quasi non riuscì a sentire.

– Sei… stato tu … Tu… Maledetto … Bastardo… Mi fai… Schifo… Ti odio…

Quelle parole annientarono tutto. Un odio fortissimo verso il mondo divampò nel suo animo.

Non riusciva a fermarlo.

La Creatura reagì. Subitanea si avventò su Mira e la uccise, assorbendone ogni più piccola cellula.

-No! No! No!

Il suo urlo rimbombò tra le mura. L’odio crebbe e crebbe fino ad esplodere. Mentre si accasciava davanti alla macchia di sangue, tutto ciò che era rimasto di Mira, la Creatura tremolò, quasi fosse spaventata.

Lui alzò lo sguardo, le lacrime che gli scendevano ora copiose dagli occhi.

– Maledetta! Ti odio! Ti odio!

La Creatura tremolò ancora. Le si avventò contro, volendo distruggerla. Voleva distruggere ogni cosa. Voleva che il dolore sparisse. Voleva sparire. L’odio verso se stesso crebbe ancora.

Affondò i pugni nella melma fangosa che era la Creatura. Quella sembrò penetrarlo. Il dolore divenne esponenziale.

Poi tutto finì.

Non esistevano più, né lui né la Creatura. Si dissolsero insieme in una pozza di lacrime, sangue e fango.

E tutto ciò che la polizia trovò sul pavimento fu solo quello.

Lacrime, sangue e fango.

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