Come parlare di traumi psicologici nel tuo romanzo senza finire a piangere in un angolo (o deprimere i tuoi lettori)

Scrivere di traumi psicologici è una di quelle cose che ci si immagina di fare con una penna stilografica e un bicchiere di whisky accanto, mentre si medita sulla complessità dell’esistenza umana. Ma nella realtà, ti ritrovi a sgranocchiare patatine davanti al laptop, fissando una pagina bianca come se stesse per offrirti tutte le risposte. Ecco il trucco: parlare di traumi psicologici non deve essere solo pioggia battente e violini in sottofondo. Si può (e si deve!) affrontare l’argomento con la giusta sensibilità, ma anche con un pizzico di ironia, perché – ammettiamolo – anche il dramma ha i suoi momenti comici. Siamo pur sempre esseri umani che inciampano, sbagliano e cercano di sopravvivere a tutto questo caos, giusto?

1. Il trauma non è un mostro sotto il letto, ma quasi

Descrivere il trauma psicologico nel tuo romanzo non significa dipingere il protagonista come un eterno martire con le occhiaie perenni. Certo, il trauma lascia cicatrici, ma c’è anche l’altro lato: l’adattamento, la resistenza e persino quel bizzarro senso dell’umorismo che emerge quando le cose non potrebbero andare peggio (spoiler: andranno peggio). Lascia che i tuoi personaggi siano umani, pieni di sfumature, con le loro giornate nere, ma anche con quelle in cui si fanno una risata nervosa davanti a un problema surreale.

2. Non trasformare il tuo protagonista in un meme di “sto male”

Ok, il tuo personaggio ha vissuto un trauma. Ma questo non significa che debba passare tutto il libro a fissare il vuoto con aria angosciata, come se fosse appena uscito da una playlist di canzoni tristi su Spotify. Gli esseri umani non sono macchine rotte: reagiscono, affrontano (a volte in modo sbagliato), ma soprattutto vivono. Aggiungi complessità alle loro emozioni. Forse il tuo protagonista si nasconde dietro il sarcasmo, forse prova a compensare con il lavoro, o forse sta pianificando di scappare alle Hawaii e cambiare nome. Qualunque sia la sua strategia, rendilo interessante. Nessuno vuole leggere 300 pagine di un personaggio che si lamenta (tranne forse il suo terapeuta).

3. L’ironia è il tuo superpotere

Hai presente quelle persone che, dopo aver passato una delle peggiori giornate della loro vita, riescono comunque a fare una battuta autoironica che ti fa crollare dalle risate? Bene, anche il tuo romanzo può farlo. L’ironia è il cugino sfrontato della tragedia, e funziona magnificamente nella narrazione. Il trauma psicologico non è sempre solenne. A volte è anche ridicolo. Come quella volta in cui il tuo protagonista ha cercato di calmarsi con yoga, ma è finito bloccato in una posizione assurda mentre il gatto lo guardava con disprezzo. O quando ha cercato di “superare” tutto leggendo un manuale di autoaiuto solo per addormentarsi alla terza pagina.

 

4. No alla Lista dei traumi (non esagerare)

Evita il classico errore della “lista della spesa dei traumi”. Sì, i tuoi personaggi possono avere un passato complicato, ma non c’è bisogno di farli sembrare il prodotto di tutte le disgrazie del mondo, dall’infanzia difficile alla perdita del pesce rosso. Un trauma è già abbastanza. Non impilare tragedie su tragedie solo per tirare le corde emotive dei lettori. A meno che non stai scrivendo una telenovela, dove “più dramma” è il mantra.

5. L‘arte del flashback: usalo, ma con moderazione

Ah, il flashback. Il miglior amico di ogni scrittore che vuole parlare di trauma. Ma attenzione: se ne usi troppi, il tuo romanzo rischia di trasformarsi in un puzzle temporale che neanche i lettori più fedeli riusciranno a ricomporre. Un buon flashback è come il pepe nel piatto: un pizzico è perfetto, troppo ti fa venire voglia di buttare tutto nel cestino. Usa i flashback per aggiungere profondità, non per fare riassunti infiniti della psiche tormentata del tuo personaggio.

 

6. L‘importanza del supporto (e dei personaggi secondari)

Il tuo protagonista non può affrontare il trauma da solo, altrimenti rischia di sembrare un recluso emotivo. Inserisci dei personaggi secondari che offrano sostegno, consiglio o anche solo una pacca sulla spalla. Magari l’amico pasticcione che cerca di aiutare con i suoi consigli non richiesti, o la nonna che dispensa saggezza a colpi di biscotti. Non tutti devono essere terapeuti: a volte la soluzione sta in una risata o in una conversazione assurda sul significato della vita (e della pizza).

7. Ricorda: non sei Freud

Parlare di traumi psicologici richiede una certa sensibilità, ma non sei tenuto a trasformarti in uno psicanalista di fama mondiale per farlo. Mantieni il realismo: non tutti affrontano i traumi con profondi soliloqui interiori o complessi sogni freudiani. A volte, il miglior modo per superare un trauma è affrontarlo a piccoli passi, con quella strana combinazione di risate, pianti, errori e biscotti al cioccolato.

Vuoi un esempio di come gestire un "trauma letterario"? Leggi il nuovo romance di Isabella Vinci

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