Tutti se ne fregano un po’, specialmente quelli sani.
Teniamo aggiornati i social, l’outfit, curato il giardinetto davanti casa, pulita e in ordine la scrivania dell’ufficio, i trattamenti estetici e la dieta prima della prova costume, lavata la macchina dentro e fuori – non si sa mai a chi puoi dare un passaggio. L’abbronzatura pronta già a inizio estate, che fa tanto gita fuori porta del week-end , la vacanzina prima delle vacanze vere per cambiare aria, io posso e tu no, i tatuaggi con i disegni tribali sulle braccia e sulle gambe – noi che di tribale non abbiamo visto mai nemmeno un documentario in televisione – la messa in piega il sabato mattina, perché poi stasera si esce, le foto a tutto spiano, perché ho speso una cifra per questo abitino, mica posso non far vedere al mondo quanto sono strafiga.
Perché l’immagine è tutto. Pare.
Finché il corpo non grida forte che qualcosa non va per il verso giusto, che da qualche parte si sta spaccando, che si consuma in qualche margine che avevamo tralasciato di guardare. Che l’armonia che ci compone in maniera perfetta si sta sgretolando per via di qualche accesa stonatura, qualche strumento va per conto suo, non segue più le mosse del direttore d’orchestra, si ribella, va contro corrente, anche se non gli conviene affatto.
Tratto dal libro

«Io lo amo questo corpo fragile, insicuro, disobbediente e imperfetto. Questo corpo balengo che me ne combina di tutti i colori, di tutti i dolori. Siamo forti io e lui, siamo in guerra contro la mia malattia..»