Rubrica ApertaMente. Chiedi alla Psicologa.
Mi presento, sono Isabella Vinci e sono una psicologa perinatale e del neurosviluppo, oltre a essere una TNPEE (sigla per indicare un lavoro dal nome impronunciabile, ossia Terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva). Mi occupo di bambini da più di vent’anni e di genitori da oltre un decennio, perché il mondo dell’infanzia è un universo in espansione, in cui è davvero molto facile perdersi.
Motivo per il quale nasce questa rubrica interattiva, in cui ho raccolto alcune domande proposte dai genitori.
Corretto da Sabrina Dattola
Lei chiede:
Perché mio figlio non gioca da solo?
Questa è una domanda curiosa, perché di solito è la preoccupazione contraria che muove i genitori verso la richiesta di un’indagine più approfondita.
Il gioco è una questione seria per i bambini. Se hanno deciso di coinvolgervi nella loro attività potrebbero esserci più motivazioni.
Ne sottolineerò alcune, sebbene bisognerebbe sempre tenere conto dello sviluppo del singolo bimbo e della sua specifica situazione..
I bambini vivono attraverso il gioco: imparano a camminare, a vestirsi da soli, a mangiare in autonomia, imparano anche a parlare e a immaginare tramite il gioco. Tuttavia all’inizio c’è qualcuno che veicola questo gioco con loro, che mostra loro tramite l’imitazione come fare e quando farlo.
Motivo per cui, nel momento in cui il loro mondo interiore diventa via via più complesso, esprimono la necessità di rendere partecipi i loro genitori e caregiver di quello che stanno pensando e vivendo, coinvolgendoli nel loro gioco.
Dal loro punto di vista, stanno permettendo a noi adulti di conoscerli meglio e di certo ci fanno un favore, perché hanno appreso da noi tramite il gioco e ci stanno restituendo la cortesia. In quel momento, siamo noi che apprendiamo dai nostri figli.
Un’altra motivazione che spinge i bambini a chiedere ai genitori costanti attenzioni nel gioco è il loro altruismo. Se si annoiano, pensano che anche gli adulti stiano provando quella terribile noia. Allora perché non giocare insieme?
L’altruismo, secondo studi recenti, è presente fin da giovanissimi: a nove mesi, se chiederete loro aiuto nel cercare qualcosa fingendo di non conoscerne la posizione, vi indicheranno dove è collocato nella stanza. [Micheal Tomasello, Altruisti nati, Ed. Bollati Boringhieri]
Pertanto, quando si annoieranno e vorranno degli stimoli diversi da quelli che l’ambiente propone loro, verranno a cercare la loro inesauribile fonte di informazioni e intrattenimento: i genitori. Poco importa che mamma o papà suggeriscano ai figli le stesse attività che avrebbero potuto avviare in autonomia: siccome verranno coinvolti sarà di certo un gioco migliore.
Siamo esseri sociali a ogni età, indipendentemente dall’inclinazione estroversa o introversa di ognuno di noi. Per questo il bambino cercherà sempre, in qualche misura, la presenza dell’altro. Se poi l’altro è una persona cara, sarà più semplice che non si preoccupi se la sta disturbando, perché dà per scontato che non sia così. La sta anzi coinvolgendo nel suo gioco, perché la vede a casa e quando è a casa vuol dire che è con lui.
La crescita dello smart working post pandemia non ha cambiato questa prospettiva agli occhi dei bambini. Se i genitori sono casa possono essere coinvolti, è quasi un obbligo morale del bambino farlo.
Non importa se vi faranno impazzire con le loro costanti richieste e di certo non importa che capiscano oggettivamente che mamma o papà stanno di fatto lavorando a un computer: il loro benessere sarà dettato dal giocare con voi.
Alcuni modi per aiutarli a rispettare anche i vostri tempi sarà spiegar loro che state lavorando e fare dei piccoli compromessi, per esempio concordare che per ogni gioco svolto insieme, per un determinato tempo dovrete dedicarvi al lavoro.
Spero di essere stata esaustiva e, se avete altre domande, non esitate a scrivere alla redazione.
A presto!
Come scegliere un buon campo estivo per mio figlio?
Questa è una domanda che ha molteplici risposte.
Innanzitutto dipende dalle esigenze di ogni famiglia, che non è mai un aspetto da sottovalutare.
Il problema di fondo resta la scarsa politica familiare e un disequilibrio tra carico educativo e carico lavorativo, ovvero i bambini in estate passano un lungo periodo senza scuola mentre i genitori no.
Tralasciando quella punta d’invidia santa che ogni adulto prova per il tempo infinito che si srotola davanti a un bambino, che invece con ingratitudine lamenta essere troppo, è pur vero che i bambini hanno difficoltà nella gestione dei loro spazi e dei loro tempi.
In generale è buona norma sapere che un bambino non ha la concezione di tempo che ha un adulto. La parola “aspetta” ha sfumature horror e incomprensibili per i nostri cuccioli d’uomo (in alcuni casi per alcuni adulti disabituati fin da piccoli ad ascoltarla).
Figurarsi una vacanza lunga mesi, che poi diventa impossibile da conciliare con i ritmi di lavoro dei caregiver e dell’entourage, considerando che molti zii e nonni e altri probabili parenti affidabili sono di certo impegnati anche loro nello stesso circolo.
Dunque siano ringraziati i centri estivi e chi li ha inventati.
Peccato che la scelta è infinita, tra quelli di equitazione, quelli di inglese e multilingue, quelli di musical e teatro, quelli sportivi e in piscina. Per non parlare del costo, che è un tasto dolente e tutto a carico delle famiglie.
Lavorare per mantenere un figlio lontano da casa, ha un suono strano, forse un po’ contorto, eppure necessario, quando la casa è vuota.
Come scegliere, quindi?
Spesso è la durata del campo estivo, in termini di ore e di settimane, la sola ragione di scelta.
Di certo chiedere ai propri figli quali sono le loro inclinazioni è sempre una buona idea.
Eppure, per quanto complesso sia ciò che sto per scrivere, sarebbe ideale sempre ricavarsi uno spazio per stare con i propri bambini in estate.
È una stagione in cui si può uscire la sera, si possono vedere le stelle cadenti, si possono mangiare gelati, andare ai mercatini e vedere il cinema all’aperto.
È la stagione in cui si costruiscono ricordi preziosi al mare o in montagna, in cui si fanno cose diverse rispetto al resto dell’anno.
Quindi sì, scegliere il campo estivo ideale è importante, ma anche ricavarsi un piccolo spazio per costruire questi ricordi lo è.
Alcuni consigli che posso dare è di leggere tra le righe le richieste dei bambini.
Se amano stare all’aria aperta e sopportano il sole e l’acqua, un’esperienza in piscina è amata e apprezzata.
Se amano raccogliere sassi e foglie, scoprire gli animali e hanno la passione per i dinosauri, forse è meglio la montagna o la fattoria.
Se hanno ipersensibilità ai rumori e alle luci, eviterei un luogo chiuso come i gonfiabili. Inoltre è necessario tenere da conto che ogni ipersensibilità ha bisogno di tempi di recupero più lunghi per riportare il proprio sistema sensoriale a un livello basale, motivo per cui un impegno fuori casa dalla mattina alla merenda pomeridiana forse è eccessiva e sarebbe dunque preferibile un impegno a mezza giornata.
Qualunque sia la vostra scelta, spero non sia troppo obbligata da esigenze esterne e soprattutto che riusciate a ricavarvi uno spazio per vivere e respirare la libertà dell’estate, così come ci insegnano a fare i bambini.
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