Siamo in Italia, il Paese dove il diritto è nato, cresciuto, si è fatto un bel caffè… e poi è inciampato su una questione: la parità nei tribunali. Oggi parliamo di un tema scivoloso come il pavimento del bagno dopo la doccia: la percezione che le donne vengano giudicate più severamente rispetto agli uomini nei tribunali italiani. No, non stiamo dicendo che “le donne devono essere giustificate perché donne”. Stiamo dicendo che la giustizia dovrebbe avere un comportamento che non cambi a seconda del tacco, del rossetto o dell’utero.
Non si tratta di difendere le criminali, ma di trattare tutti con la stessa bilancia
Partiamo da qui: nessuno vuole difendere chi commette crimini, indipendentemente dal genere. Un’omicida è un’omicida. Punto. Ma il tema che qui solleviamo è: il sistema giudiziario applica lo stesso metro di giudizio per uomini e donne? Oppure esiste, ancora oggi, un sottotesto culturale che influisce sulle sentenze?
Donne: quando l’imputazione è doppia (reato + morale)
In molti casi, le donne non vengono giudicate solo per ciò che hanno fatto, ma anche per ciò che avrebbero dovuto essere: madri premurose, mogli fedeli, donne dolci e passive. Quando si discostano da questa checklist, le sentenze — e i commenti — sembrano più ispirati al manuale della brava casalinga che al codice penale.
Basti pensare a processi mediatici come quello di Annamaria Franzoni (caso Cogne): al di là dei fatti giudiziari, il trattamento riservatole a livello sociale e mediatico ha avuto molto a che fare con la sua figura di “madre snaturata”, molto meno con il dare giustizia alla vittima.
Uomini “accecati dalla gelosia”, donne “fredde e calcolatrici”
Nei resoconti giudiziari (e soprattutto mediatici), si nota una tendenza: gli uomini violenti vengono descritti come passionali, fragili, feriti, quasi fossero personaggi shakespeariani col cuore spezzato. Le donne? “Gelo nello sguardo”, “lucida follia”, “calcolo diabolico”. È come se le emozioni fossero un’attenuante solo con la barba.
Il problema? L’asimmetria narrativa
Non si tratta solo di quanti anni ti danno. Si tratta di come sei raccontata. Se una donna è aggressiva, è “contro natura”. Se un uomo è aggressivo, è “sopraffatto dall’ira”. Questa differenza narrativa può influenzare le sentenze, le attenuanti, l’opinione pubblica e — perché no — anche la carriera del giudice.
Non è questione di condonare, ma di non condannare di più
Chiariamo una cosa (di nuovo): nessuno sta dicendo che le donne debbano ricevere trattamenti di favore. Un reato è un reato, anche se indossi il tacco 12. Il punto è: il giudizio morale e sociale che segue spesso è più pesante per le donne. Non solo vengono punite per il reato, ma anche per non essere state “donne per bene”.
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