Il carcere di Salpêtrière: il lato oscuro della rivoluzione francese e la sorte delle donne imprigionate

Se pensate che la Rivoluzione Francese sia stata solo ghigliottine e slogan rivoluzionari, beh, c’è un capitolo piuttosto oscuro che non è così chiacchierato nei libri di storia: il carcere di Salpêtrière. Un nome che suona quasi elegante, ma che in realtà nasconde uno dei luoghi più tetri e crudeli della Parigi rivoluzionaria. Questo luogo, nato come manicomio e prigione, diventò la destinazione delle donne che, per una ragione o per l’altra, finivano “scomode”. Spoiler: non c’era niente di glamour.

Salpêtrière: più prigione o più manicomio?

La Salpêtrière aveva una reputazione ambigua: era un po’ manicomio, un po’ prigione, e un po’ il luogo dove le autorità mandavano le donne “problematiche”. Tradotto: se eri povera, se eri un po’ troppo rumorosa, se avevi opinioni scomode o se semplicemente eri troppo fuori dagli schemi, potevi finire qui. L’accusa più comune? Essere “isteriche”. Sì, perché a quei tempi, se una donna osava esprimere emozioni troppo forti o, peggio, idee, veniva subito etichettata come “isterica”. Problem solved!

Le ospiti non proprio d’onore

Chi erano queste povere anime che finivano alla Salpêtrière? Donne di ogni tipo: dalle indigenti e malate, alle ex prostitute e alle donne ribelli che avevano avuto la cattiva idea di farsi notare dalla folla rivoluzionaria. Ma non è che dentro venivano trattate esattamente con i guanti. Le condizioni erano spaventose: celle umide, scarsissima igiene e cure mediche più simili a esperimenti di stregoneria.

Eppure, tra quelle mura cupe, si creavano legami di solidarietà e, ironicamente, anche qualche piccola rivolta. Un gruppo di donne, chiuse insieme in quelle condizioni, non poteva che dar vita a chiacchiere, pettegolezzi e occasionali insurrezioni per cercare di ribaltare la situazione. Ma non temete, nessuna di queste ribellioni finì con grandi vittorie (sigh).

La rivoluzione… solo per alcuni

Sembra una brutta ironia che, mentre fuori le teste dei nobili rotolavano in nome della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità, le donne rinchiuse nella Salpêtrière subivano proprio il contrario. La rivoluzione prometteva un nuovo ordine, ma per molte di loro significava solo un’altra prigione da cui non sarebbero mai uscite. E non solo per colpa del regime monarchico: anche il nuovo governo rivoluzionario non era esattamente noto per la sua empatia verso queste “prigioniere sociali”.

 

La fine della Salpêtrière: un (quasi) lieto fine

Con il passare del tempo e la fine della fase più sanguinosa della Rivoluzione, le cose cominciarono a migliorare (non troppo eh). La Salpêtrière smise di essere un luogo di terrore, e con il progresso scientifico, si trasformò in una sorta di ospedale psichiatrico, un po’ meno simile a un castello degli orrori.

Il ricordo di quelle donne, imprigionate senza giustizia in nome di una società che non le capiva o non voleva capirle, rimane ancora oggi un simbolo del lato oscuro della Rivoluzione Francese. Un aspetto di quella lotta per la libertà che ha dimenticato di includere proprio alcune delle persone più oppresse.

 

Libertà, ma non per tutte

La storia del carcere di Salpêtrière ci insegna che, per molte donne, la Rivoluzione non fu affatto una liberazione. Le loro voci furono soffocate dietro le sbarre di un sistema che continuava a vederle come “problematiche”. Oggi possiamo sorridere di fronte alla parola “isteria”, ma è impossibile non sentire una certa amarezza nel pensare alle tante vite dimenticate dietro le mura della Salpêtrière.

 

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