C’era una volta, in un tempo in cui il Wi-Fi era una leggenda e TikTok sembrava il rumore di una sveglia rotta, un piccolo uovo di plastica destinato a diventare l’ossessione globale di ogni bambino, adolescente e adulto con tempo da perdere e scarsa tolleranza al fallimento. Signore e signori, ecco a voi la storia del Tamagotchi – il gadget che ci ha insegnato responsabilità, affetto digitale… e il trauma della morte elettronica.
Era digitale: il parto del Tamagotchi
Il Tamagotchi nasce in Giappone nel 1996, concepito dalla mente geniale (e leggermente sadica) di Aki Maita per la Bandai. L’idea era semplice quanto geniale: un piccolo animale virtuale da accudire, nutrire, coccolare e – spoiler – veder morire miseramente se osavi dimenticartelo per più di tre ore.
Il nome? Un mix tra “tamago” (uovo) e “watch” (orologio). Letteralmente: un orologio-uovo con crisi esistenziali.
Il boom: tutti volevano un pixel da amare
Negli anni ’90 e primi 2000 il Tamagotchi era ovunque. Se non ne avevi uno appeso allo zaino, eri un outsider sociale. Ci svegliavamo di notte per dargli da mangiare, lo portavamo a scuola come se fosse un cucciolo vero (con l’aggravante che faceva “beep” ogni cinque secondi), e lo piangevamo quando tirava le cuoia virtuali a causa della nostra negligenza.
Le evoluzioni: Tamagotchi 2.0 (più bip, meno pace)
Negli anni, il Tamagotchi è mutato più di un Pokémon con crisi di identità. Sono arrivati modelli con infrarossi per fare accoppiare i nostri cuccioli (sì, esatto, accoppiamenti digitali), versioni con schermi a colori, app per smartphone e pure un Tamagotchi smartwatch. Cioè, lo stress 24/7 al polso: perché rilassarsi quando puoi allevare un esserino che ti giudica ogni minuto?
Il significato culturale (sì, esiste)
Il Tamagotchi è stato il primo assaggio di maternità/paternità per una generazione intera. Ci ha insegnato che gli esseri viventi – veri o pixelati – hanno bisogno di cure costanti. E ci ha anche insegnato che la vita è breve, soprattutto se la batteria dura 48 ore e tu dimentichi di premere il tasto “Cura”.
Ritorno di fiamma: nostalgia portami via
Oggi il Tamagotchi è tornato. E con lui, anche i sensi di colpa mai risolti. Le nuove versioni si vendono come pane caldo vegano su Instagram e i nostalgici (leggasi: over 30 con l’ansia) si lanciano a rivivere il trauma con un sorriso.
Perché, alla fine, il Tamagotchi non era solo un gioco. Era un’esperienza formativa travestita da mostriciattolo digitale. E se hai pianto quando è morto, tranquillo: sei cresciuto nel modo giusto.
Ami il vintage in tutte le sue forme?

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