Se la letteratura è cieca

Il global warming e la “grande cecità”

Di Francesca Redolfi





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«In un mondo sostanzialmente alterato, un mondo in cui l’innalzamento del livello dei mari avrà inghiottito le Sundarban e reso inabitabili città come Kolkata, New York e Bangkok, i lettori e i frequentatori di musei si rivolgeranno all’arte e alla letteratura della nostra epoca cercandovi innanzitutto tracce e segni premonitori del mondo alterato che avranno ricevuto in eredità. E non trovandone, cosa potranno, cosa dovranno fare, se non concludere che nella nostra epoca arte e letteratura venivano praticate perlopiù in modo da nascondere la realtà cui si andava incontro? E allora questa nostra epoca, così fiera della propria consapevolezza, verrà definita l’epoca della Grande Cecità».

Il saggio di Amitav Ghosh – antropologo e autore di romanzi di fama mondiale – La Grande Cecità, portato in Italia da Neri Pozza nel 2017, parla di una questione estremamente interessante: il cambiamento climatico visto (o meglio, non visto) con gli occhi della letteratura.

Il tema del global warming, infatti, quando appare su riviste letterarie lo fa solo in forma di saggistica, oppure è l’ingrediente che basta per relegare un romanzo o un racconto nel genere della fantascienza. Anche se ciò che viene descritto spesso tanto fantascienza non è, ma è ciò che accade già, o che è appena dietro l’angolo.

Di fatto però la letteratura, e forse l’arte in generale, di fronte a questa drammatica realtà è stata cieca. In un’epoca in cui letterati e intellettuali si sono immolati in difesa delle libertà degli uomini, la lotta alle discriminazioni e la denuncia delle disuguaglianze, invece il tema del cambiamento climatico, che potrebbe mettere a repentaglio l’intera sopravvivenza umana, è stato assente o marginale. Scrittori e artisti non hanno saputo dare voce alla natura.


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Ghosh nel suo saggio sonda i motivi di questo silenzio, ma soprattutto ci spiega perché è tanto grave: «Il grande, insostituibile ruolo della finzione narrativa è far immaginare altre possibilità. E la crisi climatica ci sfida proprio a immaginare altre forme di esistenza umana, perché se c’è una cosa che il surriscaldamento globale ha perfettamente chiarito è che pensare solo al mondo così com’è equivale a un suicidio collettivo. Per avere qualche possibilità di sopravvivere, abbiamo bisogno di figurarci come potrebbe essere». 

Del resto, a cosa serve la letteratura se non a questo scopo? Far immaginare come potrebbe essere il mondo, e quali soluzioni inventare “se”. E se è vero che la storia non si scrive con i “se” e con i “ma”, i libri sono proprio quello spazio visionario che ci permette di sperimentare questo grande “se”. Anzi, è doveroso che lo facciano. 

Eppure, come sostiene Ghosh, il cambiamento climatico non trova spazio nella narrativa. Ma forse, potremmo azzardarci a pensare, questo accade perché, come succede quasi per ogni evento della vita, quando ci si è dentro non si ha la lucidità necessaria per parlarne, per capirlo davvero. 

Non lo si fa apposta, non c’è colpa, ma di fatto si crea come una sorta di tabù della narrazione, di censura dell’immaginario, di nebbia della conoscenza. Sappiamo, sì, che quella cosa potrebbe accadere, anzi, che sta già accadendo, che lassù da qualche parte i ghiacciai si ritirano e le nevi si sfaldano. Ma ne abbiamo paura, non riusciamo ad affrontarlo, forse siamo sopraffatti da un sentimento di impotenza, e allora se lo raccontiamo lo releghiamo per forza di cose nella narrazione di fantascienza. Perché messo lì fa meno paura.


Chi narra di questo viene dunque esiliato, come dice Ghosh, nelle «abitazioni che circondano il castello. Quegli annessi un tempo conosciuti come “gotico”, “romance”, o “melodramma”, e adesso chiamati “fantasy”, “horror”, “fantascienza”».

Eppure, leggendo il saggio dell’antropologo ci aspettiamo, forse speriamo, che in qualche modo invece qualcosa possa mutare. Che questo tema sempre più pressante del cambiamento climatico possa essere innalzato alle glorie della narrativa, e che prima o poi possiamo aspettarci di trovare nei romanzi – quelli che parlano di normalità, della vita di tutti i giorni, degli argomenti ordinari che tutti ci troviamo ad affrontare – anche questo argomento, anche ciò che, nostro malgrado, sta divenendo parte della normalità. 

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