Curiosità su Italo Svevo.
Magari non dirò nulla di nuovo, forse lo sapete o forse no, ma una rinfrescatina alla memoria fa sempre bene.
Di recente mi sono imbattuta nella biografia di Bob Dylan, studioso e grande amante della lingua italiana, che con grande umiltà e devozione, descrive certi particolari della vita di Svevo da lui studiato per cultura personale.
Perché scelse proprio quello pseudonimo?
Sapevate che le sue opere furono praticamente ignorate e che lui, deluso e sfiduciato, abbandonò per un bel pezzo il mondo della letteratura?
E che pagò per pubblicare un’opera che poi nessuno calcolò?
Ebbene sì, anche il caro Italo, famoso oggi per opere come “Una vita”, “Senilità” e “La coscienza di Zeno” è stato, all’epoca, bistrattato dalla critica e, in generale, dai concittadini italiani. Il suo successo è arrivato prima all’estero e, solamente dopo l’intervento di un tal Eugenio Montale che scrisse un articolo sulle potenzialità di Svevo, l’Italia iniziò a interessarsi a lui.
Sembra assurdo, eppure è successo. Erano altri tempi, d’accordo, ma andiamo con ordine.
Italo Svevo nasce come Aron Hector (Ettore) Schmitz, nella Trieste facente parte dell’Impero austriaco. Frequenta le scuole elementari israelitiche, poi passa alla scuola privata commerciale e poi viene spedito, assieme ai fratelli, a studiare il tedesco in Baviera.
Egli vive talmente in armonia la sua doppia culturalità, che decide di rendere omaggio alle sue origini italiane e tedesche scegliendo lo pseudonimo di Italo Svevo, con cui poi pubblicherà il primo romanzo e i successivi.
Utilizza anche lo pseudonimo di Ettore Samigli, con cui firma i primi testi teatrali, e tutte le sue collaborazioni giornalistiche a L’Indipendente.
Dopo la morte del padre pubblica, a spese sue, il primo romanzo “Una vita”, ma l’opera viene sostanzialmente ignorata dalla critica e dal pubblico. Il titolo iniziale avrebbe dovuto essere “Un inetto”, ma non risultava accattivante.
Sei anni dopo, sempre a spese sue, pubblica il secondo romanzo “Senilità” e anche quest’opera passa sotto silenzio. Questo insuccesso letterario lo spinge quasi ad abbandonare del tutto la letteratura. Si dimette dalla banca presso cui lavorava ed entra nell’azienda del suocero accantonando la sua attività letteraria, che diventa marginale e segreta.
Viaggiando molto per lavoro inizia a frequentare un corso di inglese, dove come insegnante si ritrova uno scrittore irlandese, un certo James Joyce, mica uno qualunque. Ed è proprio Joyce a incoraggiarlo a proseguire con la scrittura e la stesura di un nuovo romanzo.
Pubblica, ancora una volta a spese sue, “La coscienza di Zeno” e, ancora una volta, senza successo finché Joyce, che credeva fortemente nelle sue capacità, lo diede in mano alla critica francese che dedicò all’autore un intero fascicolo su una famosa rivista.
In Italia Eugenio Montale pubblica un articolo dal titolo “Omaggio a Italo Svevo” in cui si impegna a tessere le lodi dello scrittore, data la sfortunata sorte che ebbero i suoi romanzi in Italia.
Nel 1999 l’English Heritage, l’ente governativo che si occupa della tutela dei beni culturali, ha assegnato la ”Blue Plaque”, famoso riconoscimento che viene dato a cittadini britannici e stranieri ”meritevoli” nel campo delle arti, delle lettere e delle scienze, a Italo Svevo. La targa commemorativa è stata applicata al numero 67 di Charlton Church Lane a Londra, dove si trova appunto la casa di mattoni dove Svevo visse durante i suoi lunghi soggiorni nei primi decenni del Novecento.
A questo punto mi sento in dovere di ringraziare James Joyce per aver incoraggiato Italo Svevo a proseguire.
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