Fabrizio Poggi, unico candidato italiano al Grammy Awards per il blues

A cura di

I libri di Silvia Maira

Fabrizio, ci parli di lei. Quando è iniziata la sua storia con la musica?

Credo che la musica sia iniziata con il primo battito del mio cuore. Mia madre mi raccontava di come, fin da bambino, cercassi qualsiasi cosa che potesse far uscire un suono, come picchiare sulle pentole per farne uscire il suono di una batteria. In effetti, ho iniziato con le percussioni, ma ben presto ho smesso. A quattordici anni ho cominciato a lavorare in fabbrica. Durante il servizio militare ho imparato a suonare la chitarra. All’epoca mi piacevano soprattutto i cantautori italiani e quelli americani. Poi dopo un paio di anni dopo ho scoperto la chitarra jazz e il grande Wes Montgomery e così mi esercitavo appassionatamente notte dopo notte per suonare, almeno un po’ come lui. Un brutto incidente in fabbrica mi ha lesionato la mano destra e ho dovuto abbandonare la chitarra. E’ stato un momento di estrema tristezza. Sembrava che il mondo mi fosse crollato addosso. Un’armonica che avevo in un cassetto e che avevo usato per suonare le canzoni di Bob Dylan e di Neil Young mi è venuta  in soccorso e mi ha aiutato molto in quel periodo. Non ero un ragazzino, avevo già ventotto anni e lì ho scoperto quasi senza rendermene conto che l’armonica e il blues erano la lingua più naturale per esprimere ciò che non riuscivo a dire con le parole.
Nella piccola stanzetta della mia casa di provincia suonavo e coltivavo i miei sogni. Avevo i poster dei miei eroi: da Bob Dylan ai Rolling Stones e mai mi sarei aspettato che un giorno la mia armonica mi avrebbe portato accanto a loro.

Sua moglie Angela ha scritto un libro molto interessante, “Volevo fare la deejay, Storie di campagna e di musica” in cui racconta la storia della vostra vita e dei suoi successi in giro per il mondo. Racconterebbe ai nostri lettori quante star della musica ha conosciuto e con chi ha collaborato?
Angela, ovvero Angelina mi segue da più di trent’anni, a lei ho dedicato una canzone. Come dico sempre, molte delle cose che mi sono accadute non sarebbero successe senza il magico intervento di Angelina. Il libro parla della sua vita ma anche delle bellissime esperienze che abbiamo vissuto insieme. Una vita che sembra un film.
Amo tutta la musica, ma adoro il blues che è poi la musica che suono. Il blues è la madre di tutte le musiche: dal jazz al soul, dal rock al pop. E’ una musica nata dalla sofferenza di un popolo che dalla schiavitù, anche grazie alle canzoni, è arrivato alla libertà. E’ una musica con un linguaggio universale che non conosce confini, colori, lingue o altre differenze. In questa musica non ci sono star, ma tanti  musicisti che sono vere e proprie leggende per chi li ama. Magari i loro nomi non sono conosciuti ai più, ma spesso molte delle canzoni che ascoltiamo, sono state scritte proprio da questi giganti.
Io ho avuto il privilegio di conoscere, suonare e registrare con molti di loro, ne cito solo alcuni ma l’elenco è lunghissimo: i Blind Boys of Alabama, Charlie Musselwhite, Little Feat, Ronnie Earl, Kim Wilson, Marcia Ball, John Hammond, Sonny Landreth, Garth Hudson of  THE BAND and Bob Dylan, Guy Davis, Eric Bibb, Ruthie Foster, Flaco Jiménez, David Bromberg, Zachary Richard, Jerry Jeff Walker, Billy Joe Shaver, Eric Andersen, Richard Thompson, Tom Russell, Jimmy LaFave, The Original Blues Brothers Band, Steve Cropper e tanti altri.

Fabrizio Poggi e Guy Davis

Fabrizio, lei ha avuto un grande onore, quello di essere stato l’unico candidato italiano ai Grammy Awards per il blues, arrivato solo secondo ai Rolling Stones. Ci racconta l’emozione di quel momento?
Se quando ero ragazzo, mi avessero detto che un giorno avrei sfidato i Rolling Stones al Madison Square Garden mi sarei sentito preso in giro. Ora pensando a quei giorni non mi sembra ancora vero. L’emozione è stata grandissima: io accanto a Elton John, Tony Bennett, Lady Gaga, gli U2, Beyoncé, i Rolling Stones e tantissime altre star! Ero così emozionato che quando sono andato sul Red Carpet dei Grammy Awards ho tirato fuori un’armonica che avevo in tasca e mi sono messo a suonare. In un attimo ho pensato a tutti i sacrifici, le difficoltà e gli ostacoli che ho dovuto superare per arrivare in quello che è davvero l’Olimpo della musica mondiale. Io, Fabrizio, europeo e  italiano arrivato tra i cinque finalisti al mondo nella categoria musica blues tradizionale. Devo ringraziare il mio fratello musicale Guy Davis con il quale abbiamo registrato il disco che mi ha portato lì e Angelina dalla quale è partita l’idea per quel progetto.

Quale è stato il palcoscenico più emozionante che ha calcato?
Sono stati tanti, ma quello che mi ha emozionato di più, è stato suonare alla Carnegie Hall di New York. Su quel palco che emana storia da ogni angolo, hanno suonato i Beatles, Charlie Parker,  Pavarotti e tanti altri grandi della musica. Ovunque ti giri nei corridoi con le gigantografie di Billie Holiday e Duke Ellington; nei camerini con i pianoforti a coda rigorosamente Steinway, nel legno del palco, ovunque i tuoi occhi guardino si riempiono di lacrime.
Il back stage era pieno di artisti stellari, da Edgar Winter a Marky Ramone.  Esibirmi in quella sala è stata la più grande emozione della mia carriera, un’impresa vissuta come un sogno e di cui ancora oggi non mi sono reso conto. Quando ho finito il primo assolo di armonica e il pubblico ha applaudito, sono quasi sobbalzato per lo stupore. Non so se sia l’acustica, ma un applauso lì dentro è un boato assordante. Per qualche secondo sono rimasto interdetto, non mi aspettavo una cosa del genere.  In quel momento non ho potuto fare a meno di sentirmi un po’ orgoglioso di essere italiano. Non sono certo il primo italiano a essere salito sul palco della Carnegie Hall, ma sono forse uno dei primi ad esserci andato per suonare il blues, una musica che appartiene profondamente alla cultura americana.

Fabrizio Poggi e Tony Bennett

Qual è, se c’è, il musicista o la band che porta nel cuore?
Sono davvero tanti, forse i miei maestri, quelli che ormai non ci sono più ma che mi hanno lasciato l’amore per la musica, per il blues e per la mia armonica.

Quanto è difficile, se lo è, raggiungere il successo nel mondo della musica?
Oggi come oggi è più difficile perché ci sono tantissimi bravi musicisti che, anche grazie alle tecnologie, imparano più in fretta e meglio. Io sono un autodidatta, ho imparato la musica dai dischi, non dai cd ma dagli Ellepi. Così come ho imparato l’inglese ascoltando le canzoni dei miei eroi. Però adesso grazie alle tecnologie la visibilità è maggiore quindi ci sono più possibilità di essere ascoltati. La difficoltà resta perché come sempre vale la regola che bisogna essere nel posto giusto al momento giusto.

Cosa consiglierebbe a un giovane che desidera fare il musicista di mestiere?
La strada è tutta in salita e per raggiungere dei risultati bisogna tenere duro e sacrificarsi. Molto. Nessuno ci regala niente.  

Ha ancora un sogno da realizzare?
Ne ho ancora tanti. Il bello della musica è proprio questo: ti permette di non smettere mai di sognare.

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