Di Francesca Redolfi

Cronache dal Punto Nemo
Storie di vita da genitori, riflessioni e tentativi di approdo
Il Punto Nemo si trova nell’oceano Pacifico ed è considerato il luogo più remoto della terra. È quello che siamo noi, quando come genitori a volte ci sentiamo un po’ persi. Ma è anche il tentativo costante di chi cerca sempre di ritrovare la rotta.
Da dieci anni cammino.
Ho percorso a piedi l’Italia avanti e indietro per quasi quattro volte, eppure sono quasi sempre stata nei soliti sentieri di campagna a pochi chilometri da casa.
Ho camminato su strade dissestate vicino a campi e prati, boscaglie e fossi. A volte ho per compagnia aironi e sparuti cani di passaggio, talvolta rare persone che camminano come me.
Molto spesso sono sola.
In questi dieci anni ho camminato con ogni condizione atmosferica, nella nebbia e nella neve, nella pioggia e sotto acquazzoni, tra mucchi di foglie secche sparse dal vento, sotto un sole troppo forte che nei mesi più caldi mi costringe a stare ferma, mi obbliga all’attesa.
Se mi chiedono perché cammino, la risposta è che mi piace farlo.
La risposta che scava più a fondo va a rintracciare gli anni dell’infanzia, trova una nonna che ogni giorno portava i bambini a passeggiare nei campi.
Il solito tragitto era quello che dal cimitero del paese infilava l’angolo dove scorreva il fosso, come una scorciatoia, o come una porta fatata verso un altro mondo, verdeggiante e vivo. C’era anche il grande fiume, a cui si andava ogni tanto, costeggiando sassi bianchi e acqua che scorreva forte, e forse faceva pensare al mare e ci piaceva per quello.
Una delle mete più belle restava una casetta in mezzo al bosco. C’era una signora che abitava lì, anziana amica della nonna. Un gattino dal pelo rosso ci accompagnava per l’ultimo tratto, di là da una rete, potevamo accarezzarlo solo infilando le dita tra i buchi, poi quando arrivavamo al limitare del boschetto spariva. La nonna restava un po’ a chiacchierare con la sua amica, e io e mio fratello andavamo a esplorare il bosco lì davanti. Nella nostra fantasia l’amica era una strega, la sua casa un luogo pieno di alambicchi e pozioni. Al ritorno, lo stesso gattino faceva la strada con noi, il pelo rosso ancora accarezzato tra la rete. Poi spariva. Faceva parte di quel mondo anche lui.
Le camminate con la nonna finirono pochi anni più tardi. Si cresce e ci si allontana, anche dalle cose più amate.
Le misi da parte come una cosa del passato e che nel passato resta.
Ma quando, molto tempo dopo, decisi di ricominciare un’attività fisica dopo la maternità, cercandone una a portata di mano che non occupasse troppo tempo, decisi di tornare a camminare.
Da allora non ho più smesso.
Appena posso infilo le scarpe da corsa, ne ho cambiate diverse paia in questi anni, consumandone anche le suole, erose dall’asfalto bollente e dal ghiaccio e dalla neve.
Se mi chiedono perché cammino, la risposta è perché mi piace. La risposta più profonda è che me l’ha insegnato mia nonna. L’ha fatto come si insegna la maggior parte delle cose: inconsapevolmente. Mi ha fatto apprendere l’amore per la terra e la campagna, uscire e andare nel verde solo per il gusto di farlo.
Non sono riuscita a trasmettere la stessa passione alle mie figlie, forse mia nonna l’avrebbe fatto, io non ho lo stesso carisma. La stessa capacità di far amare qualcosa.
Ma ringrazio ogni volta che lei sia stata in grado di farlo con me, che nella sua semplicità mi abbia trasmesso la bellezza di percorrere i sentieri di campagna per tanti chilometri quanto l’Italia attraversata avanti e indietro.
Forse le passioni non si trasmettono per via diretta come fossero nel Dna. Semplicemente arrivano, a volte anche grazie all’esempio, a volte invece con la pura casualità.
Guardo le mie figlie, e loro da tempo amano quell’attività che se la chiamo “sportiva” mi sgridano, l’hanno presa dal padre, e parlano a ruota di kata e kumite e cinture colorate mentre io mi limito a sostenerle da lontano, sugli spalti, nella zona di chi non sa.
Ho tentato di far loro amare la lettura, la mia passione più grande.
Mi sembrava un tentativo ormai quasi andato a vuoto, se non per sporadici fumetti e graphic novel. Poi qualche tempo fa la più piccola parlando con sua sorella se ne è uscita con la frase: «Leggi le prime pagine, te ne innamori». Parlava di un fantasy ricevuto in regalo al suo compleanno, e lo faceva con una delle espressioni che io uso per i libri che più mi piacciono.
Te ne innamori.
Ho guardato quel momento come si guarda un piccolo miracolo.
Le passioni non si insegnano, arrivano se e dove vogliono, a noi non resta che provare instancabilmente a gettare semi. Alcuni andranno a buon fine, altri non attecchiranno mai. Altri arriveranno molto tempo dopo, quando forse non sapremo nemmeno perché.
Io intanto continuo a percorrere strade di campagna. Lo faccio da dieci anni, forse più. Se mi chiedono perché cammino, la risposta è che me l’ha insegnato mia nonna.
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