La donna perfetta di Ira Levin è un romanzo che ti si insinua dentro con un sorriso smagliante e impeccabile… per poi rivelarti che quel sorriso è solo una maschera. Apparentemente una storia di ordinaria vita suburbana, il libro è in realtà una critica feroce e lucidissima a una società che si aggrappa a un ideale maschile di perfezione femminile tanto seducente quanto spaventoso. Levin ci accompagna in questo viaggio con uno stile asciutto, chirurgico, mai sopra le righe, ma proprio per questo ancora più disturbante.
Un sogno borghese che si sgretola
Siamo negli anni Settanta: Joanna Eberhart, fotografa di talento, madre e moglie moderna, si trasferisce con la famiglia a Stepford, Connecticut. Lì tutto è perfetto. Troppo perfetto. Le donne sono sorridenti, bellissime, dedite solo alla casa e al marito. Le uniche a non seguire questa regola inquietante sono Joanna e la sua amica Bobbie. Ma qualcosa cambia. Lentamente, inevitabilmente.
Il punto di forza di Levin è che non urla mai. Non ha bisogno di farlo. L’orrore di Stepford non è quello urlato dei film horror, ma quello quieto e patinato del controllo sociale, della negazione dell’identità, della paura maschile per l’autonomia femminile.
Una metafora che non invecchia
Rileggere oggi La donna perfetta fa impressione. Nonostante il contesto sia quello degli anni ’70, il cuore della narrazione – il desiderio di neutralizzare le donne rendendole innocue, docili, “gestibili” – resta tristemente attuale. È una favola nera sulla misoginia interiorizzata, mascherata da buone intenzioni, da amore, da ordine domestico. Levin non fa sconti a nessuno: la sua scrittura è un bisturi, e Stepford diventa il teatro inquietante in cui il patriarcato mette in scena il suo sogno più oscuro.
La potenza delle immagini
Il romanzo è breve, poco più di 150 pagine, ma ogni riga è calibrata. Levin non perde tempo. Non ha bisogno di spiegarti l’orrore, ti basta guardare Charmaine mentre serve il tè con il sorriso di una pubblicità degli anni ’50. È una scrittura visiva, cinematografica – non a caso ha dato origine a due film molto diversi tra loro: quello del 1975, cupo e fedele allo spirito originario, e quello del 2004, una commedia grottesca che cerca (non sempre con successo) di aggiornare la satira.
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