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Bere come un vero scrittore italiano – Alice Basso

Vi siete mai chiesti cosa bevono i veri scrittori e se hanno dei riti di scrittura? ilSaggiatore lo ha fatto con i grandi scrittori della storia del passato, noi lo facciamo con i grandi scrittori italiani della storia di oggi!E partiamo alla grande, perché la prima scrittrice che ci ha parlato dei suoi gusti è… Alice Basso Autrice di gialli cosy crime, cioè gialli con poco sangue e molte risate, annovera tra le sue scritture due pentalogie: –> La prima ha per protagonista Vani Sarca, una ghostwriter che si trova a fare la consulente di un commissario.(primo libro: “L’imprevedibile piano della scrittrice senza nome”, Garzanti, 2015) –> La seconda è ambientata nel 1935 dove troviamo Anita Bo, dattilografa di gialli e investigatrice dilettante.(primo libro: “Il morso della vipera”, Garzanti, 2020) Lista della spesa alla mano, vediamo cosa ci consiglia! Il rituale di scrittura Molti scrittori hanno un rituale di scrittura, altri aspirano a trovare il proprio – magari per smettere di procrastinare. Abbiamo chiesto ad Alice se ha un rituale, ecco cosa ci ha risposto:  «Macché! Sarebbe fighissimo poter dire “mi siedo alla mia scrivania, rigorosamente orientata a est, ogni mattina alle sei e un quarto, dopo la mia sessione di tai chi”, ma la verità è che mi siedo alla mia scrivania quando capita, anzi, non è quasi mai la mia scrivania, ma spesso la mensolina di un Frecciarossa, il banco di una stanza d’albergo, il tavolino di un bar, o persino il davanzale di una finestra. Il lato positivo è che imparare a scrivere dappertutto rende ogni minuto e ogni luogo potenzialmente sfruttabili e produttivi!» Probabilmente i vari luoghi in cui si ritaglia spazio per scrivere le riservano anche idee e ispirazioni.  Ma veniamo alla parte importante: vogliamo sapere quale nettare ispira la scrittrice che ha creato quel peperino di Vani Sarca. Cosa beve Alice Basso «La mia prima protagonista, Vani Sarca, era un’appassionata di whisky torbato, in particolare Bruichladdich. Vani non era un mio alter ego autobiografico se non per pochissimi tratti… ma guarda caso la passione per lo scotch è precisamente uno di questi. Ma pure Anita, la seconda protagonista, in uno dei libri della sua serie (il quarto, “Le aquile della notte”) si trasferisce per una settimana nelle terre del Barolo, e in effetti pure quello… Sapete quel comandamento dello scrittore che recita “scrivi di quello che conosci”? Ecco: mi accorgo ora, nel rispondere a voi, che mi sa che io l’ho declinato in “scrivi di quello che ti piace bere”. Naturalmente nella vita quotidiana bere costantemente whisky torbato o Barolo può avere qualche spiacevole effetto collaterale, tipo la rovina economica. Così, molto più banalmente, le mie giornate le passo a bere tazze gigantesche di tè, tendenzialmente Earl Grey o aromatizzato agli agrumi, e rigorosamente senza zucchero.» Eh sì, si tende sempre a mettere qualcosa di noi in quello che scriviamo. D’ora in poi leggerò le storie di Alice (perché ancora non le ho lette tutte) con un interesse particolare alle abitudini delle sue protagoniste.  Per ultimo abbiamo chiesto ad Alice se ci dà un consiglio per gustare anche noi il whisky torbato. «Mi dicono che l’abbinamento fra whisky torbato e fumo, possibilmente di sigaro, sia impareggiabile. Io non fumo – sono un’accanita fumatrice passiva, perché in casa fuma mio marito, ma personalmente non ho mai provato neanche ad accendere la canonica sigaretta adolescenziale di prova in bagno – quindi, ahimé, non posso avvalorare l’ipotesi. Però in qualche occasione mi sono vista servire il whisky accompagnato da scaglie di cioccolato fondente, e devo dire che l’ho apprezzato. Come minimo, perché è stata un’occasione inaspettata per mangiare del cioccolato fondente!» Whisky e scaglie di fondente… cara Alice, mi hai davvero incuriosita! Quindi ecco per voi… La lista della spesa Whisky torbato Barolo Bustine di tè (Earl Grey o aromatizzato agli agrumi) Cioccolato fondente Sigaro (ma non cominciate a fumare… il cioccolato siamo sicuri che sia già piuttosto soddisfacente e fa anche bene all’umore) Un grazie immenso ad Alice Basso che è stata la prima a mettersi nelle nostre mani e che ci ha svelato qualcosa di particolare e interessante di sé!  Non so voi, ma io vado a cercare la mia futura bottiglia di whisky.  Vi è piaciuto questo articolo? Siete curiosi di scoprire i gusti di altri grandi – e magari anche piccoli – scrittori italiani?Stiamo lavorando per voi…  Scopri Land Magazine Elisabetta Maggio 21, 2024 Bere come un vero scrittore italiano – Alice Basso Vi siete mai chiesti cosa bevono i veri scrittori e se hanno dei riti di scrittura? ilSaggiatore lo ha fatto con i grandi scrittori della storia del passato, noi lo facciamo Read More admin Maggio 21, 2024 Buffy l’ammazzavampiri: cosa resta della serie TV a vent’anni dall’uscita dell’ultimo episodio Il 20 maggio 2003 andava in onda l’ultima puntata di Buffy l’Ammazzavampiri, una serie TV che ha segnato un’intera generazione e che, a distanza di vent’anni, continua a raccogliere milioni Read More admin Maggio 19, 2024 Non solo geroglifici: i sistemi di scrittura nell’Egitto dei Faraoni erano ben tre Ciao a tutti, amici appassionati di storia! Oggi faremo un viaggio nel tempo fino all’affascinante mondo dell’antico Egitto, un luogo che non smetterà mai di stupirci. Ma non parleremo di Read More Cristina Ferri Maggio 18, 2024 Ricette: La torta di Anna dai capelli rossi Di Cristina Ferri Libri di Cristina Ferri Fai clic qui Ricette: La torta di Anna dai capelli rossiAnna Shirley viene accolta nella casa dal tetto verde da Marilla e Matthew, Read More admin Maggio 17, 2024 Secondo il codice civile italiano, fare la casalinga o il casalingo è un lavoro In un mondo in cui il valore del lavoro è spesso misurato in termini di retribuzione e status professionale, il ruolo della casalinga (o del casalingo) ha spesso subito una Read More Elisabetta Maggio 17, 2024 Drabble mania: consigli di scrittura per aspiranti scrittori (puntata 14) Elisabetta Venturi Scrittrice e insegnante Drabble mania Scrivere drabble insegna a colpire, emozionare, stupire, sconvolgere il lettore con poche parole. Inoltre puoi giocare

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Intervista a Serena Riglietti, la sola e unica prima illustratrice italiana di Harry Potter

Di Cristina Ferri Libri di Cristina Ferri Fai clic qui Ciao, Serena, e grazie per essere qui con noi di Land Magazine. Iniziamo subito con una domanda: quando hai deciso di voler intraprendere la carriera di illustratrice e perché? Facevo le scuole superiori, ero già iscritta alla scuola di disegno animato però la mia docente mi disse che io ero un’illustratrice. Diversamente dall’animazione dove si lavora più di sintesi, io amavo creare delle immagini molto ricche, descrittive; quindi avevo già un imprinting da illustratrice, ecco. C’è un tema che ami illustrare particolarmente? Beh, sicuramente mi piacciono molto i libri di fantasia, anche se ho appena pubblicato un libro con Salani che si intitola Libere per Costituzione, che è uscito l’8 marzo e che parla delle ventun madri costituenti. È un libro che non ha niente a che vedere con la fantasia, è costruito sulle loro storie vere e mi è piaciuto illustrarlo perché lì c’è stata tutta una ricerca iconografica, sia per quanto riguarda le protagoniste sia per ciò che concerne il mondo che raccontiamo; quindi, diciamo che mi piace disegnare, punto. Dipende da come sono scritte le storie, ecco, questo fa un po’ la differenza. Le tue illustrazioni sono state tra le prime a rappresentare il mondo del mago più amato dai bambini, ti pongo una domanda che sicuramente ti hanno fatto già in molti: come mai la scelta del topo gigante in copertina? Guarda è stata la scelta più casuale del mondo. Avevo pubblicato poco prima un libro con Salani che si intitolava La casa delle bambole non si tocca scritto da Beatrice Masini, dove avevo disegnato questa ragazzina con una casa di bambole in testa. In realtà ho sempre disegnato dei cappelli un po’ particolari. Nel caso di Harry Potter ero in Sicilia e quando mi hanno chiamata non sapevo niente: mi avevano solo detto che era un bambino che rimaneva senza genitori, che veniva portato in una scuola di magia e che poi una volta lì gli avrebbero regalato un animale (ognuno dei bambini della scuola aveva un animale da compagnia), e che si sarebbe salvato la vita in una partita a scacchi, quindi io ho disegnato il topo perché mi piace come animale, non c’era una connessione. In seguito abbiamo scoperto che l’animale che era stato assegnato a Harry era una civetta, ma io inizialmente non lo sapevo. Come ci si sente a essere nell’immaginario di migliaia di bambini italiani? E com’è il tuo rapporto con i lettori? Sinceramente per molto tempo non l’ho affatto curato. Non ne sono capace. Poi oltretutto vivo a Pesaro e non è che siano stati organizzati grossi eventi nella mia città (sono sempre stati organizzati fuori, a cominciare a delle mostre personali.) Oggi sono a Catania, ma l’altro ieri a Palermo è stato organizzato il firmacopie nella libreria Funside e credo di aver firmato 800 autografi. Si sono presentati adulti che magari lo avevano letto quando avevano dieci, dodici anni quando è uscito il primo libro, e ti sto parlando già di 22 anni fa. Sabato è stata una giornata incredibile. Quindi possiamo dire che hai caratterizzato la vita di tantissimi bambini che adesso sono cresciuti e che continuano a ricordarti tramite i tuoi disegni. Ad essere sinceri non me ne sono mai resa conto veramente. Ci sono autori che nella vita mi hanno segnata, penso ad esempio a Moebius, a Hieronymus Bosch, però io faccio questo lavoro, quindi è normale. Ci sono persone che hanno amato Harry Potter, si sono identificate con la storia e, di conseguenza, si sono affezionate anche ai miei disegni. E quindi Harry Potter ha influenzato la tua carriera, questo possiamo dirlo. Penso di sì, però sia nel bene che nel male. Nel male perché? Nel male perché allo stesso tempo spunta anche un gruppo di detrattori di Harry Potter –o forse solo di invidiosi – i quali hanno ipotizzato che io abbia avuto altre possibilità solo per il fatto che ero la disegnatrice di Harry Potter, invece non è così. Molti editori non mi hanno cercata perché troppo riconoscibile, mentre al contrario altri lo hanno fatto proprio per quella ragione. Qual è la tua più grande soddisfazione? Magari parlando anche di un’altra opera, non solo di Harry Potter. Sono legata ai libri che ho illustrato perché ognuno ha fatto parte di un periodo particolare della mia vita. Insomma, ricordo che quando ho disegnato Peter Pan nei Giardini di Kensington era appena nato mio figlio Francesco oppure mi viene in mente quando ho lavorato a una serie di Pipkin per Usborne Publishing; praticamente sono sempre legati alle nascite dei miei figli o a momenti significativi della mia vita. Io sono un’eterna insoddisfatta; sono legata ad alcuni libri per determinati momenti che stavo vivendo in quel periodo ma per il libro in sé è più un’insoddisfazione che soddisfazione. Ogni volta che ne finisco uno mi dico: “okay” anche se non ho fatto esattamente quello che volevo. Questo perché vuoi sempre migliorarti, ma sei comunque apprezzatissima in tutto il mondo e devi guardare alle tue soddisfazioni, ai tuoi successi. Penso che il giorno in cui sarò pienamente soddisfatta al cento per cento di quello che ho fatto cambierò lavoro. Il punto è questo: essere insoddisfatti ti porta sempre ad andare avanti. Io insegno all’Accademia di Belle Arti di Urbino e lo dico anche ai miei studenti quando vedo che l’insoddisfazione la vivono come un qualcosa di negativo. Secondo me l’insoddisfazione è positiva perché ti porta a migliorare, a dare quel qualcosa in più. È un atteggiamento. Hai un consiglio da dare a un giovane che decide di intraprendere la tua stessa carriera? Quello che dico sempre ai miei studenti è questo: godersi pienamente il momento della ricerca; il momento della ricerca è bellissimo. La settimana scorsa ero alla fiera del libro di Bologna, e ho seguito una conferenza di Mattotti. Lo hanno intervistato chiedendogli di parlare di tre opere particolari, e per ognuna di queste ci ha raccontato come le ha affrontate, pensando a come

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Intervista a Giorgio Borroni: sceneggiatore, scrittore e traduttore di importanti classici

Di Cristina Ferri Libri di Cristina Ferri Fai clic qui Ciao, Giorgio, e grazie per essere qui con noi di Land Magazine. Parlaci un po’ di te: quando hai iniziato a scrivere? Grazie a te, lieto di essere “atterrato” su Land Magazine! Sono della classe ’77, ho una laurea in Lettere e un master, più vari diplomi in Scrittura Creativa, Pittura Digitale, Comics e Zbrush. Per un po’ ho fatto il traduttore di classici, romanzi e fumetti, poi nel 2014 ho iniziato anche a produrre qualcosa di mio. Ho giornate piuttosto piene, perché ho molti interessi, fra cui la scherma a livello sportivo e ovviamente leggere libri (molti in audio in macchina, per ottimizzare) e fumetti. Oltre a essere uno scrittore apprezzato sei anche un esperto traduttore, tra i tuoi lavori si annoverano Frankenstein di Mary Shelley (Feltrinelli), Dracula di Bram Stoker (Barbera) e La lettera Scarlatta di Hawthorne (Liberamente). Adesso io voglio chiederti: quanto ha influito la traduzione di questi importanti classici nel tuo processo di scrittura? Cosa hai imparato dai maestri del passato? Sicuramente l’utilizzo di vari registri linguistici: se ti ritrovi a dover rendere il dialetto scozzese e passare subito dopo al parlare forbito di un conte, beh, alla fine torna comodo per caratterizzare un personaggio. Riguardo ai fumetti, credo che siano molto utili perché l’inglese è molto più “corto” dell’italiano, quindi devi tradurre, ma anche rendere al meglio in poco spazio ogni singola sfumatura: questo ti abitua alla brevità, al non metterti in trappola da te impantanandoti in periodi contorti e per una scrittura agile penso sia la base. Sulla struttura della trama e su come i tempi narrativi sono cambiati, beh, la traduzione di un classico credo sia un must, come credo che tradurre in genere ti porti a informarti, a imparare cose nuove su culture diverse e abitudini. Una volta mi sono dovuto documentare sul waterboarding e sono incappato in un manuale in pdf di tortura iracheno, forse a volte documentarsi troppo non conviene! Il blocco dello scrittore: ti è mai capitato? E cosa fai per superare l’ostacolo? Ho frequentato un corso di Scrittura Creativa proprio per questo motivo: avevo sempre cercato di scrivere, ma un blocco psicologico me lo impediva. Anche ora scrivere mi mette a disagio, ma la differenza è che ho imparato a essere professionale e se mi viene commissionato qualcosa non declino l’offerta come facevo un tempo. Ho imparato tecniche narrative anche per osmosi, leggendo molto, quindi dove non arriva l’illuminazione arrivano la disciplina e la necessità di tirare fuori qualcosa di decente entro la scadenza: semmai il mio problema è il “taglio del peso”, come nel pugilato, ovvero far rientrare il testo nel numero prestabilito di battute. In genere non credo nell’ispirazione, quella è per i grandi artisti: Dalì poteva pure permettersi di oziare per mesi, io invece sono un artigiano e devo far funzionare le cose costi quel che costi. Tre libri che ti fanno sentire a casa. L’uomo nella casa della carne, di George R.R. Martin, un romanzo breve contenuto nella raccolta Splatterpunk. Mi fa sentire a casa perché a sedici anni lo lessi e ne rimasi colpito, tanto che quando Martin venne al Lucca Comics e io non potei dirglielo di persona causa fila chilometrica di gente che voleva farsi firmare l’autografo, beh, glielo scrissi via mail, dandomi dell’idiota perché non credevo avrebbe risposto, e facendo la stupida scommessa che in caso contrario avrei scritto anche io. Non ci crederai, mi rispose! L’esorcista di William Peter Blatty: questo dovrebbe essere studiato in ogni corso di scrittura creativa, anche dai non amanti dell’horror. La caratterizzazione dei personaggi è così perfetta che la crisi spirituale di Padre Merryn colpisce anche gli atei e l’umanità che traspare da Padre Karras è dipinta in modo perfetto. Blackmoor di Edward Hogan. Quando lavoravo per una casa editrice valutando inediti in Italia mi imbattei in questo gioiello thrillerromanzo di formazione. Dissi che lo avrei tradotto anche gratis, ma non venne opzionato nonostante i pareri positivi… i misteri dell’editoria italiana! Parla della amicizia tra due dodicenni reietti: lui un ragazzo che cerca disperatamente di sapere come è morta la madre, considerata una strega perché albina, lei una ragazza figlia di un’egiziana e vittima quindi di pregiudizi. Non dico altro, a parte che se c’è qualche editore in giro che compra i diritti deve assolutamente farmi un fischio perché rilancio l’offerta della traduzione gratis! Quali sono, secondo te, gli errori di uno scrittore esordiente? Ce ne sono tanti che hanno a che vedere con la mancanza di tecnica e molti altri che hanno a che vedere con la mancanza di umiltà. Metto un po’ di idee così alla rinfusa… Essere letti è un privilegio, quindi bisogna ricambiare questa attenzione che ci viene dedicata con l’intrattenimento; se poi questo non viene capito, inutile frignare che ci sono gli haters cattivi. Il porta a porta è degradante e deleterio: meglio investire il proprio tempo per promuoversi creando contenuti costruttivi nella propria pagina e instaurando rapporti civili nei social – che poi si butti tutto in rissa al giorno d’oggi è un altro paio di maniche. Io preferisco più un approccio zen che il farsi notare indossando la maschera del cattivo o dell’arrogante: più Keanu Reeves, meno Conor McGregor, per un mondo migliore! Ognuno ha il suo scrittore preferito, ma se è uno scrittore pluripubblicato ha uno stile personale e soprattutto sa quanto tirare la corda: se ti piace Stephen King non ha senso usare il narratore onnisciente in modo smodato come lui fa in It, perché It è un’opera unica e a lui si perdona se ha tirato la corda… all’esordiente no. Stessa cosa potrei dire con Lovecraft e le sue descrizioni, Lansdale e le parolacce, ecc. ecc. Uno deve capire dove il professionista sta esagerando volutamente, perché la mancanza di maestria o la clonazione maldestra all’esordiente non viene perdonata. Le EAP credo siano state smascherate ovunque, pure le criptoeap: se ancora credi alla favoletta del pagare per pubblicare meriti l’anonimato. Il presenzialismo nei concorsi

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Sara Rattaro: «Racconto la ricerca di felicità della mia generazione»

Di Francesca Redolfi Guarda su Amazon Partiamo dal presente: chi è Sara Rattaro oggi? Sono una scrittrice, la mia attività principale sono i romanzi. L’ultimo, il ventitreesimo, uscito agli inizi di marzo, è Io sono Marie Curie, la biografia romanzata della grande scienziata. Ho scritto anche romanzi per ragazzi, alcuni per bambini delle elementari: insomma, abbraccio un po’ tutte le fasce d’età. Come seconda attività mi occupo di insegnare nella mia scuola di scrittura La fabbrica delle storie, che ha sede a Milano ma tiene anche lezioni on line. Faccio anche la coach, ovvero aiuto le persone a trovare il modo giusto di raccontare la storia che hanno in testa, e svolgo attività di editing.  Inoltre insieme a mio marito ho una casa editrice, la Morellini editore, per la quale mi occupo della collana Femminile singolare, che pubblica romanzi sulle grandi donne della storia.   Com’è iniziata la sua carriera da scrittrice? Il primo romanzo l’ho pubblicato con Mauro Morellini. Il secondo, Un uso qualunque di te, è uscito nel 2012 con Giunti e ha avuto un successo inaspettato. Non avrei mai immaginato che potesse piacere così tanto, c’è stato un grandissimo passaparola di pubblico. Forse perché ha tirato fuori delle parti femminili che spesso noi donne siamo obbligate a tenere nascoste, o il senso di inadeguatezza che talvolta viviamo. Poi c’è stato Non volare via, la storia di un ragazzino sordo, anche quella importante per la mia carriera.   E poi è arrivato il Premio Bancarella… Con il Premio Bancarella, ottenuto nel 2015 per Niente è come te, c’è stato un riconoscimento da parte del pubblico e per me la consapevolezza che quello doveva diventare il mio mestiere. Io sono laureata in biologia, quindi non ero da sempre convinta di fare la scrittrice. Eppure quella laurea mi è servita molto: oggi posso raccontare di Marie Curie, parlare ai ragazzi di Albert Sabin, Ettore Majorana. In generale trovo utilissimo avere una cultura scientifica. Si pensa erroneamente che per scrivere si debba essere un letterato, almeno su carta, ma in realtà non è proprio così: io ad esempio sono sempre stata una fortissima lettrice, per cui molta della mia cultura letteraria è arrivata da lì.   Ha frequentato anche scuole di scrittura? No, perché quindici anni fa erano proprio poche, c’era solo la Holden, ma era a Torino, io lavoravo a tempo pieno e non mi era possibile frequentarla. Però ho preso lezioni privatamente, ho fatto uno studio “tecnico” sulla scrittura, che è quello che anche io oggi metto a disposizione degli aspiranti autori. Perché, al contrario di quanto si pensa, il mestiere di scrittore è altamente tecnico. Spesso si crede che bastino l’ispirazione e il talento, in realtà le storie devono funzionare, bisogna saperle costruire e avere gli strumenti per farlo. Ci sono tecniche narrative da imparare, come lo show don’t tell, il punto di vista, tanti escamotage… Poi ovviamente la scrittura è la tua, ma c’è tanto da studiare, più di quanto si immagini.   Tornando ai suoi romanzi, ha scritto anche dei libri per ragazzi. A un certo punto mi è stato chiesto di scrivere un romanzo per ragazzi, allora ho deciso di raccontare una storia che mi piaceva molto da piccola, me la raccontava sempre mio nonno. Così, nel 2017 è uscito per Mondadori Ragazzi Il cacciatore di sogni, la vicenda di Albert Sabin, l’inventore del vaccino contro la poliomielite, un vaccino che non ha brevettato e ha voluto fosse sempre di dominio pubblico perché lui era ebreo, aveva subito delle persecuzioni, odiava le discriminazioni. «Il nazismo ha sterminato una parte della mia famiglia – diceva – e io per punizione salverò i bambini di tutto il mondo».   Da quel libro, ha proseguito con romanzi per ragazzi e adulti. Sì, ho continuato a scrivere con un doppio binario. Per ragazzi ho sempre scritto storie di personaggi straordinari ma veri. Una parte del mio lavoro di scrittrice riguarda proprio la ricerca di queste persone e delle loro storie. Credo che per i ragazzi dell’età delle medie sia utile presentare un modello, persone che in una situazione molto difficile hanno fatto qualcosa di grande, e veicolare messaggi molto puliti. Mentre per gli adulti può funzionare anche il personaggio che è sceso a compromessi, con i romanzi per ragazzi ho quest’attenzione a mantenere valori positivi e personaggi privi di lati oscuri.   Lei è anche docente… Per sei anni sono stata docente di scrittura alla facoltà di Scienze della Comunicazione a Genova. Poi ho fondato La Fabbrica delle storie a Milano. Teniamo un corso annuale, ci si incontra una volta al mese, e si arriva alla pubblicazione di racconti. C’è un unico tema su cui stare, quest’anno è “la follia”. Il corso aiuta le persone a capire com’è questo mestiere, dall’editing alle presentazioni, che sono un passaggio fondamentale. I libri oggi non si vendono da soli, bisogna essere bravi promotori di sé stessi.   A questo proposito, com’è stato il suo percorso? La mia fortuna è stata che non mi aspettavo niente. Mi sembrava già una grandissima cosa aver pubblicato un romanzo e che qualcuno che non conoscevo l’avesse letto e apprezzato. Poi ho iniziato a fare quello che tutti dovrebbero fare, ossia farsi conoscere. All’epoca c’era solo Facebook come social, quindi ho sfruttato quel canale, e poi sono andata in giro a fare presentazioni, chiedendo ai librai di darmi spazio, agli amici di portare gente… ovviamente più ti allontani da casa e meno persone conosci e vengono. Ho fatto presentazioni in cui non c’era nessuno. Serve anche questo, sono state ottime scuole di vita. Certo, è un meccanismo che va compreso e che non ti si deve rivolgere contro, ovvero non devi sentirti un fallimento, è normale che sia così: nessuno va alla presentazione di un autore che non conosce. Bisogna incontrare i librai, iniziando da quelli della propria zona, e ampliare sempre un po’ di più…   È un consiglio valido ancora oggi? Oggi le cose sono un po’ cambiate, c’è più possibilità di farsi pubblicità

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Fabrizio Poggi, unico candidato italiano al Grammy Awards per il blues

A cura di I libri di Silvia Maira VAI AL LIBRO Fabrizio, ci parli di lei. Quando è iniziata la sua storia con la musica? Credo che la musica sia iniziata con il primo battito del mio cuore. Mia madre mi raccontava di come, fin da bambino, cercassi qualsiasi cosa che potesse far uscire un suono, come picchiare sulle pentole per farne uscire il suono di una batteria. In effetti, ho iniziato con le percussioni, ma ben presto ho smesso. A quattordici anni ho cominciato a lavorare in fabbrica. Durante il servizio militare ho imparato a suonare la chitarra. All’epoca mi piacevano soprattutto i cantautori italiani e quelli americani. Poi dopo un paio di anni dopo ho scoperto la chitarra jazz e il grande Wes Montgomery e così mi esercitavo appassionatamente notte dopo notte per suonare, almeno un po’ come lui. Un brutto incidente in fabbrica mi ha lesionato la mano destra e ho dovuto abbandonare la chitarra. E’ stato un momento di estrema tristezza. Sembrava che il mondo mi fosse crollato addosso. Un’armonica che avevo in un cassetto e che avevo usato per suonare le canzoni di Bob Dylan e di Neil Young mi è venuta  in soccorso e mi ha aiutato molto in quel periodo. Non ero un ragazzino, avevo già ventotto anni e lì ho scoperto quasi senza rendermene conto che l’armonica e il blues erano la lingua più naturale per esprimere ciò che non riuscivo a dire con le parole.Nella piccola stanzetta della mia casa di provincia suonavo e coltivavo i miei sogni. Avevo i poster dei miei eroi: da Bob Dylan ai Rolling Stones e mai mi sarei aspettato che un giorno la mia armonica mi avrebbe portato accanto a loro. Sua moglie Angela ha scritto un libro molto interessante, “Volevo fare la deejay, Storie di campagna e di musica” in cui racconta la storia della vostra vita e dei suoi successi in giro per il mondo. Racconterebbe ai nostri lettori quante star della musica ha conosciuto e con chi ha collaborato?Angela, ovvero Angelina mi segue da più di trent’anni, a lei ho dedicato una canzone. Come dico sempre, molte delle cose che mi sono accadute non sarebbero successe senza il magico intervento di Angelina. Il libro parla della sua vita ma anche delle bellissime esperienze che abbiamo vissuto insieme. Una vita che sembra un film.Amo tutta la musica, ma adoro il blues che è poi la musica che suono. Il blues è la madre di tutte le musiche: dal jazz al soul, dal rock al pop. E’ una musica nata dalla sofferenza di un popolo che dalla schiavitù, anche grazie alle canzoni, è arrivato alla libertà. E’ una musica con un linguaggio universale che non conosce confini, colori, lingue o altre differenze. In questa musica non ci sono star, ma tanti  musicisti che sono vere e proprie leggende per chi li ama. Magari i loro nomi non sono conosciuti ai più, ma spesso molte delle canzoni che ascoltiamo, sono state scritte proprio da questi giganti.Io ho avuto il privilegio di conoscere, suonare e registrare con molti di loro, ne cito solo alcuni ma l’elenco è lunghissimo: i Blind Boys of Alabama, Charlie Musselwhite, Little Feat, Ronnie Earl, Kim Wilson, Marcia Ball, John Hammond, Sonny Landreth, Garth Hudson of  THE BAND and Bob Dylan, Guy Davis, Eric Bibb, Ruthie Foster, Flaco Jiménez, David Bromberg, Zachary Richard, Jerry Jeff Walker, Billy Joe Shaver, Eric Andersen, Richard Thompson, Tom Russell, Jimmy LaFave, The Original Blues Brothers Band, Steve Cropper e tanti altri. Fabrizio Poggi e Guy Davis Fabrizio, lei ha avuto un grande onore, quello di essere stato l’unico candidato italiano ai Grammy Awards per il blues, arrivato solo secondo ai Rolling Stones. Ci racconta l’emozione di quel momento?Se quando ero ragazzo, mi avessero detto che un giorno avrei sfidato i Rolling Stones al Madison Square Garden mi sarei sentito preso in giro. Ora pensando a quei giorni non mi sembra ancora vero. L’emozione è stata grandissima: io accanto a Elton John, Tony Bennett, Lady Gaga, gli U2, Beyoncé, i Rolling Stones e tantissime altre star! Ero così emozionato che quando sono andato sul Red Carpet dei Grammy Awards ho tirato fuori un’armonica che avevo in tasca e mi sono messo a suonare. In un attimo ho pensato a tutti i sacrifici, le difficoltà e gli ostacoli che ho dovuto superare per arrivare in quello che è davvero l’Olimpo della musica mondiale. Io, Fabrizio, europeo e  italiano arrivato tra i cinque finalisti al mondo nella categoria musica blues tradizionale. Devo ringraziare il mio fratello musicale Guy Davis con il quale abbiamo registrato il disco che mi ha portato lì e Angelina dalla quale è partita l’idea per quel progetto. Quale è stato il palcoscenico più emozionante che ha calcato?Sono stati tanti, ma quello che mi ha emozionato di più, è stato suonare alla Carnegie Hall di New York. Su quel palco che emana storia da ogni angolo, hanno suonato i Beatles, Charlie Parker,  Pavarotti e tanti altri grandi della musica. Ovunque ti giri nei corridoi con le gigantografie di Billie Holiday e Duke Ellington; nei camerini con i pianoforti a coda rigorosamente Steinway, nel legno del palco, ovunque i tuoi occhi guardino si riempiono di lacrime.Il back stage era pieno di artisti stellari, da Edgar Winter a Marky Ramone.  Esibirmi in quella sala è stata la più grande emozione della mia carriera, un’impresa vissuta come un sogno e di cui ancora oggi non mi sono reso conto. Quando ho finito il primo assolo di armonica e il pubblico ha applaudito, sono quasi sobbalzato per lo stupore. Non so se sia l’acustica, ma un applauso lì dentro è un boato assordante. Per qualche secondo sono rimasto interdetto, non mi aspettavo una cosa del genere.  In quel momento non ho potuto fare a meno di sentirmi un po’ orgoglioso di essere italiano. Non sono certo il primo italiano a essere salito sul palco della Carnegie Hall, ma sono forse uno dei primi ad esserci andato per suonare il

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