Aprile 2024

Sara Rattaro: «Racconto la ricerca di felicità della mia generazione»

Di Francesca Redolfi Guarda su Amazon Partiamo dal presente: chi è Sara Rattaro oggi? Sono una scrittrice, la mia attività principale sono i romanzi. L’ultimo, il ventitreesimo, uscito agli inizi di marzo, è Io sono Marie Curie, la biografia romanzata della grande scienziata. Ho scritto anche romanzi per ragazzi, alcuni per bambini delle elementari: insomma, abbraccio un po’ tutte le fasce d’età. Come seconda attività mi occupo di insegnare nella mia scuola di scrittura La fabbrica delle storie, che ha sede a Milano ma tiene anche lezioni on line. Faccio anche la coach, ovvero aiuto le persone a trovare il modo giusto di raccontare la storia che hanno in testa, e svolgo attività di editing.  Inoltre insieme a mio marito ho una casa editrice, la Morellini editore, per la quale mi occupo della collana Femminile singolare, che pubblica romanzi sulle grandi donne della storia.   Com’è iniziata la sua carriera da scrittrice? Il primo romanzo l’ho pubblicato con Mauro Morellini. Il secondo, Un uso qualunque di te, è uscito nel 2012 con Giunti e ha avuto un successo inaspettato. Non avrei mai immaginato che potesse piacere così tanto, c’è stato un grandissimo passaparola di pubblico. Forse perché ha tirato fuori delle parti femminili che spesso noi donne siamo obbligate a tenere nascoste, o il senso di inadeguatezza che talvolta viviamo. Poi c’è stato Non volare via, la storia di un ragazzino sordo, anche quella importante per la mia carriera.   E poi è arrivato il Premio Bancarella… Con il Premio Bancarella, ottenuto nel 2015 per Niente è come te, c’è stato un riconoscimento da parte del pubblico e per me la consapevolezza che quello doveva diventare il mio mestiere. Io sono laureata in biologia, quindi non ero da sempre convinta di fare la scrittrice. Eppure quella laurea mi è servita molto: oggi posso raccontare di Marie Curie, parlare ai ragazzi di Albert Sabin, Ettore Majorana. In generale trovo utilissimo avere una cultura scientifica. Si pensa erroneamente che per scrivere si debba essere un letterato, almeno su carta, ma in realtà non è proprio così: io ad esempio sono sempre stata una fortissima lettrice, per cui molta della mia cultura letteraria è arrivata da lì.   Ha frequentato anche scuole di scrittura? No, perché quindici anni fa erano proprio poche, c’era solo la Holden, ma era a Torino, io lavoravo a tempo pieno e non mi era possibile frequentarla. Però ho preso lezioni privatamente, ho fatto uno studio “tecnico” sulla scrittura, che è quello che anche io oggi metto a disposizione degli aspiranti autori. Perché, al contrario di quanto si pensa, il mestiere di scrittore è altamente tecnico. Spesso si crede che bastino l’ispirazione e il talento, in realtà le storie devono funzionare, bisogna saperle costruire e avere gli strumenti per farlo. Ci sono tecniche narrative da imparare, come lo show don’t tell, il punto di vista, tanti escamotage… Poi ovviamente la scrittura è la tua, ma c’è tanto da studiare, più di quanto si immagini.   Tornando ai suoi romanzi, ha scritto anche dei libri per ragazzi. A un certo punto mi è stato chiesto di scrivere un romanzo per ragazzi, allora ho deciso di raccontare una storia che mi piaceva molto da piccola, me la raccontava sempre mio nonno. Così, nel 2017 è uscito per Mondadori Ragazzi Il cacciatore di sogni, la vicenda di Albert Sabin, l’inventore del vaccino contro la poliomielite, un vaccino che non ha brevettato e ha voluto fosse sempre di dominio pubblico perché lui era ebreo, aveva subito delle persecuzioni, odiava le discriminazioni. «Il nazismo ha sterminato una parte della mia famiglia – diceva – e io per punizione salverò i bambini di tutto il mondo».   Da quel libro, ha proseguito con romanzi per ragazzi e adulti. Sì, ho continuato a scrivere con un doppio binario. Per ragazzi ho sempre scritto storie di personaggi straordinari ma veri. Una parte del mio lavoro di scrittrice riguarda proprio la ricerca di queste persone e delle loro storie. Credo che per i ragazzi dell’età delle medie sia utile presentare un modello, persone che in una situazione molto difficile hanno fatto qualcosa di grande, e veicolare messaggi molto puliti. Mentre per gli adulti può funzionare anche il personaggio che è sceso a compromessi, con i romanzi per ragazzi ho quest’attenzione a mantenere valori positivi e personaggi privi di lati oscuri.   Lei è anche docente… Per sei anni sono stata docente di scrittura alla facoltà di Scienze della Comunicazione a Genova. Poi ho fondato La Fabbrica delle storie a Milano. Teniamo un corso annuale, ci si incontra una volta al mese, e si arriva alla pubblicazione di racconti. C’è un unico tema su cui stare, quest’anno è “la follia”. Il corso aiuta le persone a capire com’è questo mestiere, dall’editing alle presentazioni, che sono un passaggio fondamentale. I libri oggi non si vendono da soli, bisogna essere bravi promotori di sé stessi.   A questo proposito, com’è stato il suo percorso? La mia fortuna è stata che non mi aspettavo niente. Mi sembrava già una grandissima cosa aver pubblicato un romanzo e che qualcuno che non conoscevo l’avesse letto e apprezzato. Poi ho iniziato a fare quello che tutti dovrebbero fare, ossia farsi conoscere. All’epoca c’era solo Facebook come social, quindi ho sfruttato quel canale, e poi sono andata in giro a fare presentazioni, chiedendo ai librai di darmi spazio, agli amici di portare gente… ovviamente più ti allontani da casa e meno persone conosci e vengono. Ho fatto presentazioni in cui non c’era nessuno. Serve anche questo, sono state ottime scuole di vita. Certo, è un meccanismo che va compreso e che non ti si deve rivolgere contro, ovvero non devi sentirti un fallimento, è normale che sia così: nessuno va alla presentazione di un autore che non conosce. Bisogna incontrare i librai, iniziando da quelli della propria zona, e ampliare sempre un po’ di più…   È un consiglio valido ancora oggi? Oggi le cose sono un po’ cambiate, c’è più possibilità di farsi pubblicità

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Fabrizio Poggi, unico candidato italiano al Grammy Awards per il blues

A cura di I libri di Silvia Maira VAI AL LIBRO Fabrizio, ci parli di lei. Quando è iniziata la sua storia con la musica? Credo che la musica sia iniziata con il primo battito del mio cuore. Mia madre mi raccontava di come, fin da bambino, cercassi qualsiasi cosa che potesse far uscire un suono, come picchiare sulle pentole per farne uscire il suono di una batteria. In effetti, ho iniziato con le percussioni, ma ben presto ho smesso. A quattordici anni ho cominciato a lavorare in fabbrica. Durante il servizio militare ho imparato a suonare la chitarra. All’epoca mi piacevano soprattutto i cantautori italiani e quelli americani. Poi dopo un paio di anni dopo ho scoperto la chitarra jazz e il grande Wes Montgomery e così mi esercitavo appassionatamente notte dopo notte per suonare, almeno un po’ come lui. Un brutto incidente in fabbrica mi ha lesionato la mano destra e ho dovuto abbandonare la chitarra. E’ stato un momento di estrema tristezza. Sembrava che il mondo mi fosse crollato addosso. Un’armonica che avevo in un cassetto e che avevo usato per suonare le canzoni di Bob Dylan e di Neil Young mi è venuta  in soccorso e mi ha aiutato molto in quel periodo. Non ero un ragazzino, avevo già ventotto anni e lì ho scoperto quasi senza rendermene conto che l’armonica e il blues erano la lingua più naturale per esprimere ciò che non riuscivo a dire con le parole.Nella piccola stanzetta della mia casa di provincia suonavo e coltivavo i miei sogni. Avevo i poster dei miei eroi: da Bob Dylan ai Rolling Stones e mai mi sarei aspettato che un giorno la mia armonica mi avrebbe portato accanto a loro. Sua moglie Angela ha scritto un libro molto interessante, “Volevo fare la deejay, Storie di campagna e di musica” in cui racconta la storia della vostra vita e dei suoi successi in giro per il mondo. Racconterebbe ai nostri lettori quante star della musica ha conosciuto e con chi ha collaborato?Angela, ovvero Angelina mi segue da più di trent’anni, a lei ho dedicato una canzone. Come dico sempre, molte delle cose che mi sono accadute non sarebbero successe senza il magico intervento di Angelina. Il libro parla della sua vita ma anche delle bellissime esperienze che abbiamo vissuto insieme. Una vita che sembra un film.Amo tutta la musica, ma adoro il blues che è poi la musica che suono. Il blues è la madre di tutte le musiche: dal jazz al soul, dal rock al pop. E’ una musica nata dalla sofferenza di un popolo che dalla schiavitù, anche grazie alle canzoni, è arrivato alla libertà. E’ una musica con un linguaggio universale che non conosce confini, colori, lingue o altre differenze. In questa musica non ci sono star, ma tanti  musicisti che sono vere e proprie leggende per chi li ama. Magari i loro nomi non sono conosciuti ai più, ma spesso molte delle canzoni che ascoltiamo, sono state scritte proprio da questi giganti.Io ho avuto il privilegio di conoscere, suonare e registrare con molti di loro, ne cito solo alcuni ma l’elenco è lunghissimo: i Blind Boys of Alabama, Charlie Musselwhite, Little Feat, Ronnie Earl, Kim Wilson, Marcia Ball, John Hammond, Sonny Landreth, Garth Hudson of  THE BAND and Bob Dylan, Guy Davis, Eric Bibb, Ruthie Foster, Flaco Jiménez, David Bromberg, Zachary Richard, Jerry Jeff Walker, Billy Joe Shaver, Eric Andersen, Richard Thompson, Tom Russell, Jimmy LaFave, The Original Blues Brothers Band, Steve Cropper e tanti altri. Fabrizio Poggi e Guy Davis Fabrizio, lei ha avuto un grande onore, quello di essere stato l’unico candidato italiano ai Grammy Awards per il blues, arrivato solo secondo ai Rolling Stones. Ci racconta l’emozione di quel momento?Se quando ero ragazzo, mi avessero detto che un giorno avrei sfidato i Rolling Stones al Madison Square Garden mi sarei sentito preso in giro. Ora pensando a quei giorni non mi sembra ancora vero. L’emozione è stata grandissima: io accanto a Elton John, Tony Bennett, Lady Gaga, gli U2, Beyoncé, i Rolling Stones e tantissime altre star! Ero così emozionato che quando sono andato sul Red Carpet dei Grammy Awards ho tirato fuori un’armonica che avevo in tasca e mi sono messo a suonare. In un attimo ho pensato a tutti i sacrifici, le difficoltà e gli ostacoli che ho dovuto superare per arrivare in quello che è davvero l’Olimpo della musica mondiale. Io, Fabrizio, europeo e  italiano arrivato tra i cinque finalisti al mondo nella categoria musica blues tradizionale. Devo ringraziare il mio fratello musicale Guy Davis con il quale abbiamo registrato il disco che mi ha portato lì e Angelina dalla quale è partita l’idea per quel progetto. Quale è stato il palcoscenico più emozionante che ha calcato?Sono stati tanti, ma quello che mi ha emozionato di più, è stato suonare alla Carnegie Hall di New York. Su quel palco che emana storia da ogni angolo, hanno suonato i Beatles, Charlie Parker,  Pavarotti e tanti altri grandi della musica. Ovunque ti giri nei corridoi con le gigantografie di Billie Holiday e Duke Ellington; nei camerini con i pianoforti a coda rigorosamente Steinway, nel legno del palco, ovunque i tuoi occhi guardino si riempiono di lacrime.Il back stage era pieno di artisti stellari, da Edgar Winter a Marky Ramone.  Esibirmi in quella sala è stata la più grande emozione della mia carriera, un’impresa vissuta come un sogno e di cui ancora oggi non mi sono reso conto. Quando ho finito il primo assolo di armonica e il pubblico ha applaudito, sono quasi sobbalzato per lo stupore. Non so se sia l’acustica, ma un applauso lì dentro è un boato assordante. Per qualche secondo sono rimasto interdetto, non mi aspettavo una cosa del genere.  In quel momento non ho potuto fare a meno di sentirmi un po’ orgoglioso di essere italiano. Non sono certo il primo italiano a essere salito sul palco della Carnegie Hall, ma sono forse uno dei primi ad esserci andato per suonare il

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