Masterclass Vita d’Altri: episodio tre

In collaborazione con

G di Giulia

Racconto di Claudia Lombardo

Questo racconto è stato ideato e scritto da uno degli allievi della scuola di Scrittura e Storytelling Viagrande Studios, in occasione della masterclass Vita d'altri.
Editing a cura di: Manuela A.De Quarto

In una bella e calda giornata di luglio la mia mamma decise di mettermi al mondo, facendomi il regalo più bello che potessi desiderare: nonna Giulia. E nonostante mi tenne entro la pancia per ben nove mesi, non riuscì a conoscermi.

Per anni il mio umore si trasformò in un’altalena che andava su e giù troppo velocemente. Riuscivo a incontrarla solo la notte, dentro sogni troppo confusi e maledettamente reali. La nonna sapeva certamente cosa frullava nella mia testa. Con il tempo si trasformò in una scatola magica: era mamma, papà, sorella e amica in una persona sola. Lo sforzo che fece per crescermi lo capisco solo ora e a volte vorrei tornare indietro per guardare con occhi diversi la vita vissuta insieme a lei. Ma la mia mente è un aereo sempre in aria che fluttua leggero in mezzo ai ricordi. Il regalo più bello della mia infanzia che ancora oggi conservo è un peluche a forma di coniglio. Ero una bambina innamorata degli animali e quindi facile da accontentare. Quando la nonna era indecisa su come farmi passare il tempo mi portava a fare lunghe passeggiate nei boschi e se voleva rendermi davvero felice mi portava alla fattoria degli animali. Era il mio luogo preferito in assoluto, più del parco giochi. La nonna mi portava sulle sue spalle, era instancabile quella donna ed io ne ero sinceramente innamorata. Amavo immensamente le sue mani fredde e lisce. Le piaceva indossare smalti colorati ed eccentrici. Riusciva ad essere sempre elegante, anche in vestaglia e pantofole. Ogni mattina aspettava già sveglia in cucina. Io scendevo le scale a chiocciola sbirciando tra uno scalino e l’altro e rischiano di perdere l’equilibrio. Mi svegliavo sempre di cattivo umore perché le tre collanine che portavo al collo durante la notte si trasformavano in un unico grosso nodo. Così lei metteva la sedia accanto alla mia e con pazienza districava le collane. Io restavo incantata dalle sue mani che con gentilezza e armonia riuscivano a sciogliere anche i nodi più intrecciati.

Presto i nodi più difficili da separare divennero quelli con i ragazzi. La mia prima storia seria la ebbi a sedici anni. Si chiamava Valerio, mi piaceva molto e insieme stavamo bene. Ma l’amore che ti prometti a quell’età è fragile come un neonato. Ero un’adolescente che andava a rifugiarsi solo nelle braccia della nonna. 

“Non scegliamo noi chi avere accanto.”

 

Arrivò il momento in cui i giorni con la nonna finirono e lì la vita mi diede uno schiaffo molto forte. Mi ero da poco diplomata. Le giornate erano calde e insopportabili, un chiaro segno che il mio compleanno si avvicinava. Decise di andarsene senza far rumore e disturbare nessuno. In verità avrei preferito essere disturbata.

I miei diciotto anni mi avevano regalato solo nervosismo, problemi di integrazione e ansia crescente, concedendomi quindi solo pochi attimi di serenità. Per cui mi sforzavo tanto di tenere per me l’insoddisfazione della mia età. In quel periodo era difficile andare d’accordo ma non volevo rovinare i bei momenti con la nonna, per cui avevo messo una regola: ogni risposta brutta che le davo era un bacio in più la sera prima di andare a letto. Di risposte brutte quel giorno gliene avevo date tante, troppe. Come minimo per rimediare avrei dovuto dormire incollata alla sua guancia dando un bacio dopo l’altro a ripetizione. Decisi di prepararle una camomilla e un vassoio di biscotti al miele, i suoi preferiti.

“Nonna sento odore di miele. Lo senti anche tu?”

Nessuna risposta. Che strano, pensai, di solito i biscotti al miele risolvono sempre ogni cosa. Pensai che forse stava già dormendo. Entrai lentamente sbirciando da lontano. La porta era aperta. Mi avvicinai piano e sussurrai:

“Nonna, dormi? Sono venuta a farmi perdonare.”

Pensai che stesse dormendo profondamente, ero già pronta ad arrendermi. Non volevo svegliarla. Mi chinai delicatamente su di lei per darle un bacio, era fredda come le sue mani. Di colpo mi si gelò il sangue, un secondo dopo lasciai cadere a terra il vassoio. Mi sdraiai accanto a lei e la strinsi forte. Le chiesi scusa. Scusa, le dissi, per averti fatta andare via da sola. Lei che per tutta la sua vita ebbe un solo obiettivo: non farmi mai sentire sola. Morì sola nella sua stanza.

Ancora oggi, dopo tredici anni e una figlia che porta il suo nome, non c’è giorno in cui io non pensi a lei. 

C’è qualcosa di estremamente ingiusto nel lasciare andare le persone. Io non ho mai lasciato andare niente, non ho mai saputo come si fa. Ho sempre trattenuto ogni cosa, ogni persona e alla fine mi sono ritrovata con un accumulo di roba dentro che ora faccio fatica a riordinare. E quando devi lasciare andare una persona che non hai neanche salutato, allora dirle addio diventa impossibile. 

Giulia è una bambina intelligente e molto sveglia. Oggi ha sei anni e il suo sport preferito è fare domande. Per me non è un gran problema, sono una radio sempre accesa che non lascia neanche uno spazio per la pubblicità. Quando le parlo della nonna non mi fermo più. Giulia ascolta attentamente e con entusiasmo. In particolare le piace la storia del bracciale. Ogni volta fa finta di scordarla così a me tocca raccontarla da capo.

“G di cosa?”

“G di Giulia.”

“Giulia io?”

“Giulia tu e la nonna.”

Porto un bracciale con un ciondolo a forma di cuore da quando sono piccola. Quando la nonna mi ha lasciata ho fatto incidere la sua iniziale, un modo per convincermi di averla vicina. 

“Quindi la nonna si chiamava come me?”

Gli occhi di Giulia sembrano due piccole stelle che brillano in un cielo buio. Pur non essendosi conosciute c’è qualcosa di invisibile che le lega, le rende uguali. 

“Voleva tanto lasciare il suo nome a una persona speciale ma non trovava nessuno, fino a quando sei nata tu.”

“Non poteva restare un altro po’ per conoscermi?”

Guardando Giulia rivedo me stessa, mi sembra quasi di parlare con la me bambina. 

A questo punto della storia mi limito ad abbracciarla e lei sembra capire in un attimo. Mi abbraccia forte anche lei e spegne subito i miei occhi lucidi. Per una piccola frazione di secondo nelle braccia di Giulia riesco a sentire la presenza della nonna, le sue mani fredde e lisce, la sua voce calma, il suo profumo di rosa.

 

Forse è vero, non scegliamo noi chi avere accanto. Forse, per un piccolo e breve attimo della mia vita, mi è sembrato di poter trattenere con me ogni cosa. Forse basterebbe solo lasciare andare per scegliere chi tenere dentro di noi.

 

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