Intervista a Serena Riglietti, la sola e unica prima illustratrice italiana di Harry Potter

Di Cristina Ferri

Libri di Cristina Ferri

Ciao, Serena, e grazie per essere qui con noi di Land Magazine. Iniziamo subito con una domanda: quando hai deciso di voler intraprendere la carriera di illustratrice e perché?

Facevo le scuole superiori, ero già iscritta alla scuola di disegno animato però la mia docente mi disse che io ero un’illustratrice. Diversamente dall’animazione dove si lavora più di sintesi, io amavo creare delle immagini molto ricche, descrittive; quindi avevo già un imprinting da illustratrice, ecco.

C’è un tema che ami illustrare particolarmente?

Beh, sicuramente mi piacciono molto i libri di fantasia, anche se ho appena pubblicato un libro con Salani che si intitola Libere per Costituzione, che è uscito l’8 marzo e che parla delle ventun madri costituenti. È un libro che non ha niente a che vedere con la fantasia, è costruito sulle loro storie vere e mi è piaciuto illustrarlo perché lì c’è stata tutta una ricerca iconografica, sia per quanto riguarda le protagoniste sia per ciò che concerne il mondo che raccontiamo; quindi, diciamo che mi piace disegnare, punto. Dipende da come sono scritte le storie, ecco, questo fa un po’ la differenza.

Le tue illustrazioni sono state tra le prime a rappresentare il mondo del mago più amato dai bambini, ti pongo una domanda che sicuramente ti hanno fatto già in molti: come mai la scelta del topo gigante in copertina?

Guarda è stata la scelta più casuale del mondo. Avevo pubblicato poco prima un libro con Salani che si intitolava La casa delle bambole non si tocca scritto da Beatrice Masini, dove avevo disegnato questa ragazzina con una casa di bambole in testa. In realtà ho sempre disegnato dei cappelli un po’ particolari. Nel caso di Harry Potter ero in Sicilia e quando mi hanno chiamata non sapevo niente: mi avevano solo detto che era un bambino che rimaneva senza genitori, che veniva portato in una scuola di magia e che poi una volta lì gli avrebbero regalato un animale (ognuno dei bambini della scuola aveva un animale da compagnia), e che si sarebbe salvato la vita in una partita a scacchi, quindi io ho disegnato il topo perché mi piace come animale, non c’era una connessione. In seguito abbiamo scoperto che l’animale che era stato assegnato a Harry era una civetta, ma io inizialmente non lo sapevo.

Come ci si sente a essere nell’immaginario di migliaia di bambini italiani? E com’è il tuo rapporto con i lettori?

Sinceramente per molto tempo non l’ho affatto curato. Non ne sono capace. Poi oltretutto vivo a Pesaro e non è che siano stati organizzati grossi eventi nella mia città (sono sempre stati organizzati fuori, a cominciare a delle mostre personali.) Oggi sono a Catania, ma l’altro ieri a Palermo è stato organizzato il firmacopie nella libreria Funside e credo di aver firmato 800 autografi. Si sono presentati adulti che magari lo avevano letto quando avevano dieci, dodici anni quando è uscito il primo libro, e ti sto parlando già di 22 anni fa. Sabato è stata una giornata incredibile.

Quindi possiamo dire che hai caratterizzato la vita di tantissimi bambini che adesso sono cresciuti e che continuano a ricordarti tramite i tuoi disegni.

Ad essere sinceri non me ne sono mai resa conto veramente. Ci sono autori che nella vita mi hanno segnata, penso ad esempio a Moebius, a Hieronymus Bosch, però io faccio questo lavoro, quindi è normale. Ci sono persone che hanno amato Harry Potter, si sono identificate con la storia e, di conseguenza, si sono affezionate anche ai miei disegni.

E quindi Harry Potter ha influenzato la tua carriera, questo possiamo dirlo.

Penso di sì, però sia nel bene che nel male.

Nel male perché?

Nel male perché allo stesso tempo spunta anche un gruppo di detrattori di Harry Potter –o forse solo di invidiosi – i quali hanno ipotizzato che io abbia avuto altre possibilità solo per il fatto che ero la disegnatrice di Harry Potter, invece non è così. Molti editori non mi hanno cercata perché troppo riconoscibile, mentre al contrario altri lo hanno fatto proprio per quella ragione.

Qual è la tua più grande soddisfazione? Magari parlando anche di un’altra opera, non solo di Harry Potter.

Sono legata ai libri che ho illustrato perché ognuno ha fatto parte di un periodo particolare della mia vita. Insomma, ricordo che quando ho disegnato Peter Pan nei Giardini di Kensington era appena nato mio figlio Francesco oppure mi viene in mente quando ho lavorato a una serie di Pipkin per Usborne Publishing; praticamente sono sempre legati alle nascite dei miei figli o a momenti significativi della mia vita. Io sono un’eterna insoddisfatta; sono legata ad alcuni libri per determinati momenti che stavo vivendo in quel periodo ma per il libro in sé è più un’insoddisfazione che soddisfazione. Ogni volta che ne finisco uno mi dico: “okay” anche se non ho fatto esattamente quello che volevo.

Questo perché vuoi sempre migliorarti, ma sei comunque apprezzatissima in tutto il mondo e devi guardare alle tue soddisfazioni, ai tuoi successi.

Penso che il giorno in cui sarò pienamente soddisfatta al cento per cento di quello che ho fatto cambierò lavoro. Il punto è questo: essere insoddisfatti ti porta sempre ad andare avanti. Io insegno all’Accademia di Belle Arti di Urbino e lo dico anche ai miei studenti quando vedo che l’insoddisfazione la vivono come un qualcosa di negativo. Secondo me l’insoddisfazione è positiva perché ti porta a migliorare, a dare quel qualcosa in più. È un atteggiamento.

Hai un consiglio da dare a un giovane che decide di intraprendere la tua stessa carriera?

Quello che dico sempre ai miei studenti è questo: godersi pienamente il momento della ricerca; il momento della ricerca è bellissimo. La settimana scorsa ero alla fiera del libro di Bologna, e ho seguito una conferenza di Mattotti. Lo hanno intervistato chiedendogli di parlare di tre opere particolari, e per ognuna di queste ci ha raccontato come le ha affrontate, pensando a come avrebbe potuto capire meglio una determinata cosa. In qualche modo il suo è proprio un atteggiamento di ricerca. Mattotti, capito? Ai miei studenti dico sempre: anche se raggiungi un tuo segno, il tuo linguaggio, è bello continuare a ricercare, conoscersi e tirar fuori sempre qualcosa di diverso. Non bisogna rimanere nella propria zona di comfort.

C’è un’illustrazione che ami particolarmente? Che ti è rimasta nel cuore?

È un’opera che ho disegnato durante il periodo del lockdown, un lavoro dedicato a Raffaello Sanzio. Ho realizzato un progetto che raccontava i luoghi di Raffaello bambino a Urbino (lui è andato via che aveva 12 anni da Urbino, ma porterà questi luoghi con sé tutta la vita), abbiamo messo dei totem in tutti i luoghi che lui frequentava, e per pubblicizzare quest’evento ho fatto un grande manifesto dove c’è Raffaello bambino visto di profilo con il mio modello di riferimento: ho disegnato mio figlio Tommaso. Raffaello di profilo tiene le mani davanti al viso e sopra queste mani è sospesa una nuvola da cui emerge il palazzo di Urbino. Ho scelto una tavola 100 x 70 a olio che ogni tanto tiro fuori e riguardo perché mi è piaciuta tantissimo.

C’è molta emozione nelle tue parole e si sente che la tua è una grandissima passione. Ma quanto è difficile riuscire a trasmettere questa passione ai ragazzi?

Per me non è difficile perché la passione è qualcosa che mi contraddistingue. Anche il rapporto con i miei studenti lo vivo con passione, e loro questa cosa la percepiscono. Gli studenti sono tanti ma con ognuno di loro ho costruito un rapporto basato sulla condivisione di una ricerca, uno stare al mondo in un certo modo, e quindi per me è normale trasmettere passione per le cose che si fanno.

Sono fortunati ad averti come insegnante. Ti ringrazio per essere stata con noi di Land Magazine.

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